La poesia, secondo Shelley, agisce in modo divino e misterioso, al di là e al di sopra della coscienza in una mistura di piacere e di sapienza. Il rapporto tra questi due ultimi elementi è esplicitato nell’immagine di una pioggia di sapienza sul lettore di cui è intriso il suo piacere. Dentro dunque sta il…
Categoria: Poesia
La scintilla – Shelley 6
La poesia non è un tutto organico. Noi siamo abituati a considerare un testo poetico nella sua integrità e nella sua interezza. Secondo il nostro inadeguato giudizio tutto di un’opera poetica dovrebbe essere considerato grande poesia perché la si possa considerare come tale. Shelley invece rivendica la non integrità dell’afflato poetico. Se di un testo…
Uno specchio – Shelley 5
In Shelley l’idea centrale è che vita e poesia siano intimamente collegate. E che tutte e due abbiano un rapporto con l’eternità in quanto espressione della verità. È sorprendente come egli identifichi il senso dell’eternità con la verità. Il modo per sfuggire alla caducità determinata dal tempo è quello di appellarsi a quanto di eterno l’uomo…
L’eco della musica eterna – Shelley 4
La poesia – in realtà Shelley dice ‘il verso’ – è l’eco della musica eterna. Per arrivare a questa asserzione l’autore parte dalla distinzione (di tipo linguistico) tra lingua metrica e lingua non metrica. Se è vero che suoni e pensieri sono in rapporto sia l’uno con l’altro sia con ciò che essi rappresentano, è…
Il principio creatore – Shelley 3
Qual è il principio creatore della poesia? Si parte ovviamente dal fatto linguistico. “La lingua” afferma Shelley “è al tempo stesso strumento e materiale della poesia.” Strumento perché il linguaggio sostanzia la poesia, materiale perché l’armonia della metrica diventa soggetto stesso del fare poetico. In altre parole non è solo il contenuto di un testo a sviluppare le suggestioni in…
Chi sono i poeti? – Shelley 2
Quando la facoltà di approssimazione al bello diviene preponderante nell’uomo , ebbene questo lo fa diventare poeta nel senso più generale del termine. In questo contesto l’armonica azione di tale tendenza con quelle che possono essere chiamate le influenze sociali permette un’amplificazione del divenire poetico perché favorisce la percezione di relazioni tra le cose sconosciute ai…
In difesa della poesia – Shelley 1
Iniziamo l’analisi del testo “In difesa della poesia” pubblicato nel 1821 da Percy Bissey Shelley in risposta al saggio dello scrittore Thomas Love Peacock (1820) che invece sosteneva l’inutilità della poesia. Acceso da un sacro furore di vendetta per “la grave offesa recata alle Muse” Shelley intende organicamente difendere non solo l’utilità della poesia in un mondo tanto basato sulla materialità…
Legami – Pascoli 8
Nell’ultima parte dei Discorsi sull’arte poetica pubblicati nel 1897, Pascoli invita il poeta a fare poesia, non a costruire poesia. La differenza sta nella spontaneità. Chi scrive trovando la poesia in ciò che lo circonda è un vero poeta, partecipa del sentimento poetico e riesce a trasmetterlo con forza. Chi invece non trova la poesia nella quotidianità deve fare sforzi per inventarsela e così compone architetture vane, artificiali che non trasmettono nulla se non estetismo vuoto e superficiale. L’invito a ‘entrare nello spirito della poesia‘ viene fatto con uno scopo ben preciso: la comunione degli uomini. Questa idea della poesia in grado di creare ponti tra gli individui appare ai nostri occhi estremamente moderna, soprattutto se si prendono in esame le considerazioni enunciate dopo tale affermazione: “La comunione degli uomini ne sarebbe avvantaggiata; specialmente in questi tempi in cui la corsa verso l’impossibile felicità è con tanto fulmineo disprezzo d’altrui in chi è avanti, con tanta disperata invidia in chi è addietro.”Una poesia vera, in grado di ricostruire tessuto sociale perché fondata su un comune sentire poetico basato sull’assenza del desiderio instancabile di primeggiare, suona alle orecchie dell’uomo del ventunesimo secolo quasi straniante, tanto è lontana dalla mentalità corrente. Pascoli condanna l’ansia di essere felici ad ogni costo intravvista tra gli uomini del suo tempo e definisce infelice questo desiderio quando genera l’angoscia dell’insoddisfazione. È questo il motore dell’incupirsi della società, un’infezione dello spirito a cui bisogna riparare con inoculazioni di poesia libera e civile, generata sulla e dalla realtà e nutrita di semplicità. Riferendosi infine a Virgilio chiude i suoi Discorsi con questa affermazione che potrebbe apparire ingenua: “Egli insegnava ad amare la vita in cui non fosse lo spettacolo né doloroso della miseria, né invidioso della ricchezza: egli voleva abolire la lotta tra le classi e la guerra tra i popoli.” Questa visione che può suonare buonista e ingenua, diventa vitale alla luce di quanto è successo nel XX secolo. A partire dalla mala pianta dei nazionalismi che hanno causato le due guerre più micidiali della storia e dei conflitti successivi costellati di genocidi, etnocidi e democidi di massa quali mai l’umanità ha sperimentato prima, l’appello a una ragione poetica del cuore – potremmo quasi dire del buon senso – quale costruttrice di ponti piuttosto che di divisioni, suona come un appello fermo e deciso che può aiutarci a contrastare molte delle deliranti ispirazioni che tanto male hanno fatto e continuano a fare all’umanità odierna. Terminano qui le osservazioni sui Discorsi sull’arte poetica. Nel prossimo post inizieremo a esaminare un altro importantissimo scritto intitolato In difesa della poesia di Percy Bisshe Shelley.
Sorrisi e lacrime – Pascoli 7
Nella penultima parte dei Pensieri sull’arte poetica del 1897, Pascoli arriva al nocciolo della questione: dopo aver constatato che per fare poesia occorre un’anima (anima, si badi bene, non semplicemente ‘pensiero’) disposta a vedere in profondità nelle cose, si interroga nuovamente sul senso e sull’utilità dell’agire poetico. Qual è la verità ultima della poesia? Secondo lui la sua utilità morale e sociale consiste nel fatto che attraverso di essa il poeta riesce a “trovare nelle cose il loro sorriso e la loro lacrima“. Occorre cioè non semplicemente ‘vivere’ bensì trascendere, entrare dentro le cose e comprenderne il senso profondo. Come si fa a ottenere questo risultato? Come si fa cioè a non considerare gli eventi, i fenomeni quotidiani semplicemente per quello che sono, bensì per il significato che portano? Secondo Pascoli bisogna attraversare l’oscuro tumulto dell’animo umano con l’occhio semplice e sereno del fanciullino che è dentro ciascuno di noi. L’effetto di questo attraversamento è la tranquillità che nasce dal saper vedere luminosità e bellezza in tutto quello che capita nonostante le oscurità e le tenebre. E se non c’è proprio niente di bello, niente di luminoso dentro tale oscurità? Ebbene quegli occhi allora “si chiudono a sognare e a guardar lontano” come a dire che l’estremo rimedio alla miseria della condizione umana è un salto nell’altrove, nel sogno, nell’ideale. Se non possiamo trovare nulla di positivo nel mondo, sembra affermare Pascoli, possiamo però mediante la poesia almeno creare un mondo appagante che culli il nostro desiderio di positività. Naturalmente egli pone i due risultati (vedere il bello nel quotidiano oppure trasporre la bellezza in un mondo ‘ALTRO’) su gradi diversi per prevenire l’obiezione della poesia vista come fuga dalla realtà. Il primo di questi gradi è il più efficace, il più degno della natura umana: entrare nella vita e vederne il positivo sembra essere l’operazione più alta, più nobile. L’altro aspetto, quello di sfondare il muro del reale per navigare nelle regioni ideali appare agli occhi del poeta un terreno meno sicuro, viene paragonato all’operazione che fa il viaggiatore che ama solo i luoghi lontani ed esotici e non sa vedere la bellezza del paesaggio abituale. Eppure è un’estrema ratio importante perché fa compiere comunque un salto al lettore e, vellicandolo con la sincerità di quegli occhi da fanciullo che tutti hanno e celano dentro di loro, lo conduce in un mondo incantato che risuona del reale e indica varchi inaspettati in grado di illuminare perfino le oscurità senza senso.
Rose senza spine – Pascoli 6
Nella terza parte dei Pensieri sull’arte poetica, pubblicati in forma di articoli saggistici nel 1897, (seconda parte del colloquio tra poeta e fanciullino) Pascoli si interroga su una questione di fondo. Qual è il fine della poesia? Perché l’uomo, a un certo punto della sua vita si mette a fruire o a comporre poesia?La prima considerazione ch’egli fa è che la poesia non ha un fine utilitaristico immediato. Non deve averlo. La natura del fanciullino è tale che egli è sempre distratto da qualcosa di nuovo, non persevera, non si ferma a ragionare, aborre la consuetudine. Parimenti chi è contagiato da questa innata curiosità sembra bamboleggiare, sembra incantato a oasservare cose ed eventi di poco conto su cui il ‘savio’, il ‘gestore’, non fa alcun affidamento. Qui c’è la prima grande rottura tra uno stile di vita basato sul logos e quello basato sul mythos. Non ci può essere intesa tra i poeti e i costruttori di realtà – quelli materiali, s’intende – perché è proprio diverso il modo in cui queste due categorie affrontano il mondo e la concatenazione degli eventi che lo guidano.Dunque, se la poesia non porta alcun beneficio o vantaggio di tipo materiale, a che cosa serve?Serve a ‘dilettare‘. Sotto questa parola, Pascoli intravvede alcuni archetipi comportamentali molto importanti che costituiscono la base del saper comprendere poetico.Anzitutto diletto è la capacità BASTEVOLE di gioire davanti ai fiori colti sul sentiero o nelle crepe del muro. L’idea della semplicità d’animo non è nuova, ma assume qui un colore psicologico tutto particolare se contestualizzata alla fine dell’ottocento. L’oggetto più ambito del lavoro umano, l’utile, destinato al sostentamento è desiderato ma non amato. La seriosità non allieta nessuno. Non c’è attrattiva in una vita proiettata esclusivamente – e razionalmente – al proprio sostentamento. Fatta questa premessa, il massimo della poesia sta nella celebrazione dell’intimità familiare, nelle piccole cose, nelle quasi invisibili emozioni domestiche. Attenzione: della quotidianità, alla poesia non interessa nulla riguardo ciò che concerne la materialità della vita. Essa è invece proiettata alla fruizione di un’umanità che si realizza nelle relazioni: in altre parole la poesia canta l’humanitas e si contrappone alla retorica della cultura celebrativa delle virtù sociali. Di qua sta il freddo e l’insensibilità, di là sta la vita. Una vita che ha…