Nell’ultima parte dei Discorsi sull’arte poetica pubblicati nel 1897, Pascoli invita il poeta a fare poesia, non a costruire poesia. La differenza sta nella spontaneità. Chi scrive trovando la poesia in ciò che lo circonda è un vero poeta, partecipa del sentimento poetico e riesce a trasmetterlo con forza. Chi invece non trova la poesia nella quotidianità deve fare sforzi per inventarsela e così compone architetture vane, artificiali che non trasmettono nulla se non estetismo vuoto e superficiale. L’invito a ‘entrare nello spirito della poesia‘ viene fatto con uno scopo ben preciso: la comunione degli uomini. Questa idea della poesia in grado di creare ponti tra gli individui appare ai nostri occhi estremamente moderna, soprattutto se si prendono in esame le considerazioni enunciate dopo tale affermazione: “La comunione degli uomini ne sarebbe avvantaggiata; specialmente in questi tempi in cui la corsa verso l’impossibile felicità è con tanto fulmineo disprezzo d’altrui in chi è avanti, con tanta disperata invidia in chi è addietro.”Una poesia vera, in grado di ricostruire tessuto sociale perché fondata su un comune sentire poetico basato sull’assenza del desiderio instancabile di primeggiare, suona alle orecchie dell’uomo del ventunesimo secolo quasi straniante, tanto è lontana dalla mentalità corrente. Pascoli condanna l’ansia di essere felici ad ogni costo intravvista tra gli uomini del suo tempo e definisce infelice questo desiderio quando genera l’angoscia dell’insoddisfazione. È questo il motore dell’incupirsi della società, un’infezione dello spirito a cui bisogna riparare con inoculazioni di poesia libera e civile, generata sulla e dalla realtà e nutrita di semplicità. Riferendosi infine a Virgilio chiude i suoi Discorsi con questa affermazione che potrebbe apparire ingenua: “Egli insegnava ad amare la vita in cui non fosse lo spettacolo né doloroso della miseria, né invidioso della ricchezza: egli voleva abolire la lotta tra le classi e la guerra tra i popoli.” Questa visione che può suonare buonista e ingenua, diventa vitale alla luce di quanto è successo nel XX secolo. A partire dalla mala pianta dei nazionalismi che hanno causato le due guerre più micidiali della storia e dei conflitti successivi costellati di genocidi, etnocidi e democidi di massa quali mai l’umanità ha sperimentato prima, l’appello a una ragione poetica del cuore – potremmo quasi dire del buon senso – quale costruttrice di ponti piuttosto che di divisioni, suona come un appello fermo e deciso che può aiutarci a contrastare molte delle deliranti ispirazioni che tanto male hanno fatto e continuano a fare all’umanità odierna. Terminano qui le osservazioni sui Discorsi sull’arte poetica. Nel prossimo post inizieremo a esaminare un altro importantissimo scritto intitolato In difesa della poesia di Percy Bisshe Shelley.