Secondo Shelley la poesia opera in campo etico “allargando la mente stessa e e rendendola crogiuolo di nuove combinazioni di pensiero“. Questo fa sì che essa sollevi il velo dalla nascosta poesia del mondo e che renda insolite le cose familiari. Questo processo di ‘straniamento’ rende grandi le cose.
Siffattamente funziona una morale basata sull’amore: questa ci fa uscire dalla nostra stessa natura e ci identifica con quanto di bello esiste nei nostri pensieri. Immaginare: è il verbo che, unito ai due avverbi ‘intensamente’ e ‘comprensivamente’ definisce la vita mentale umana sana. La poesia, in quanto capace di allargare il cerchio dell’immaginazione riempiendolo di pensieri di piacere sempre nuovo, contribuisce a sostanziare – o per meglio dire caratterizza – la vita morale dell’uomo. La spinta che porta fuori dal nostro pensare quotidiano generando bellezza è dunque strutturante e indispensabile. La poesia in quanto molla primigenia di tale spinta è fondamentale per crescere eticamente e quindi umanamente. Questa identificazione tra poesia e morale distrugge la possibilità che la poesia, qualunque sia la sua natura riflessiva, possa essere immorale. È un contraddizione di termini. In quanto poesia essa trae l’uomo da se stesso compiendo una importante e fondamentale opera educatrice. Non si dà crescita senza poesia perché non ci può essere allargamento di vedute senza una presa di consapevolezza della bellezza. Secondo Shelley dunque l’unica cosa che ci porta con facilità a tale percezione è l’intima sostanza poetica. La via è indicata con chiarezza: va perseguita con la stessa brama che si ha nei confronti del nutrimento fisico.