Dire cose eterne limate al versus
e il fuoco uscire dai connessi rivela
immense verità.
Scalzo, dormi sulla pietra
di ombre al taglio del cielo,
primavera e inverno,
flusso di sangue caldo.
Sangue gocciolato dagli occhi
come sudore sacro
quando adescato da un padre
non seppe rispondere.
E il cerchio si contrae
attorno alle frutta
schiacciate, cervello in polpa
odore di carne
che abbaia a una metafora
luna.
Senza baccanti il furore è verde
e le parole scorrono gialle, e leccati
le dita per non morderle,
che non sanno suonarle, le parole.
Danza forsennata: se quel movente
scoprivi qualcosa ora non saresti costretto
a sputare sul gelo per credere
che il genio non esiste.
Ci fu allora un poeta dinosauro
senza pelle sotto i piedi, ipofisi mancanti,
eppure provetto cacciatore: fu regalato in ode
alla sua vittima.
Così sbranate, occhietti di bragia
e lunghi colli al pastrano, arrotolato
elegantemente sul braccio.
Reziari della lingua, pasteggiate
a marche e significati, smembrate
il polmone e trovate moduli
scapestrati,
solo in potenza
non essente, che, rotti liberino
la disperazione,
unica amica che resta,
ridondante sostenitrice
del sé annegato in un miele
poco offensivo.
Per questo non è dolce con le narici
ormai piene, tenere a galla questo
ornato di paramento veste di corda
implosiva soffocata
espressione esangue, non forza nella
direttrice sconosciuta di anni
senza limite,
approssimati zero all’infinito.
(1987)