Lascia stare dove gli angeli
puoi incontrare, nelle notti
illuni, in pavimenti quadretti di ombre e
luci intrecciate.
Dall’altra c’è il richiamo del vero
montagna da scendere con fatica
che di ascesa e discesa è
maestra di cammino,
un tuffo
che rientra nel giogo della
sezionatrice e che sembra non bastarti.
Io non so che cosa ci succeda quando
l’istante giungerà, se il sogno
aprirà la sua porta e tutto diverrà
chiaro finalmente, se tristezza tramuterà in
cibo eterno, senza empiti; se oblio e
inesistenza saranno i signori del nostro mondo
che non sarà.
Amo consolarmi con una speranza vacua a tratti,
una goccia di sale al ciglio,
compassione per il nostro esistere così
vuoto senza traguardi, e considero
il fuoco che arde al pensiero di ciò che
sembriamo, inutilmente votati all’eterno,
alla salute senza intervalli, al disperato e lucido
‘considerare’.
Il vento cessa e rochi gridi d’uccelli più
ascolti nell’aria che si fa tetra,
la piuma arresta di scrivere in attesa di
sensi che non ci sono
e quel che rimane è scaglia di
serpe abbandonata, rara vestigia
di mutazioni a noi sconosciute.
Le auto continuano a trascorrere
sull’autostrada e non è certo
una morte, la tua, a fermare il cammino
e nemmeno quella che tutta attende
connessi i mondi, le stelle e le loro
sembianze. Vedi, è dentro l’amaro
del sentire che amara diventa
la foglia tremolante nell’autunno.
24/05/2010