Ritorno ai ciuffi dorati e bruni
che vellicavano le vostre intime ombre
e parevano ambra dorata, le carni
sfumate e riverbere al sole.
Espressi d’interno erano gli occhi,
intonsi dal gioco inospite
divertiti, esibiti e sfondi marini
o rocce da sole.
L’antico gemeva tra riccioli
e panni del finto di greco
ma che cosa, dite, che cosa
c’era nel lontano ultimo vostro orizzonte?
Non sappiamo più che sentire,
perduto, smorzato al crudele
pensiero, ricordo
non trattenuto nè ora, nè mai.
Siete rimasti bambini per sempre
e avete vinto la vita.
Le fiamme screpolano la carta
ma ormai siete mente e il
piacere non è perduto
cantante congedo.
È così che salpiamo le nostre
vaghezze verso nuove rotte
seguendo tracce gabbiane,
voli tortuosi, senza bussola o
sogni, affidati all’istinto, o meglio
alle vele.
Ma quando smettiamo di sapere
e al pari del fanciullo
goloso ardiamo, la cenere
e le ombre troviamo
a guidare qualche pesta.
Questo è il futuro:
brancolare nel querulo,
gridare qualche misero trascorso
giorno aspettando il tramonto.
Liberarsi dei ricordi
vuol dire possederli
rivederli nella
luce lunare,
distesi nel limpido
occhieggiare e invitare
tra cristalli vulcanici.
Abbandonarsi al morire
del mondo è essere
ruggine, piegarsi
e aprire portoni
oliare cardini
anche se la casa è
inabitata.
(1987)