A sapere la inamata forma
che ti paluda,
farfalle di pelo rossiccio
cessano di volare
per sanare il fratturo incolmo
di ghiaccio.
E il ballo è che io
so non pretendere il giro di valzer
ma solo incolpate lubegini
come il sole insicuro
d’una domenica
o luce di lampada e carta,
presa tra occhiali annebbiati
e strofine pupille, spese a
cercare quel guizzo d’ali
forse agognato immorale
e invece puntiforme
insellato avanzare di flora
tra buche e burroni
scivolato di piatto come
l’amore del dirsi
le cose che amiamo.
Così allentano le fila
tra uno spiro e l’altro,
troppo d’audacia fatte
per non essere sincere e anche
gemere di saperlo tra doglie
ricorrenti.
Così ti vedo e naufrago in te
i miei stretti denti contratti,
sudati e incrinati:
sempre gli insetti conoscono
pienezze e minuti soli.
Vale il tempo concesso
a noi se le squame elitre
vivono
intensità concentrate,
uguale mille,
come i pensatori
sparpagliati i pensieri,
rimanti un solo istante nella vita.
(1988)