Lo scosso trituro che va dal me al te
proficuo lombeggia la pianta
dei piedi al profluvio di fango sui sassi:
e non sono le nuove parole, mortaio
d’idee morigere audaci,
a irresistere il nostro sentirci.
Ben più imo è il fiume
che lucheggia, correndo inesausto
quasi quelle di odori, come
papaveri alati in bacci irrisolti,
cotoni avvoltati,
trafila microniche al vento,
spirati ed olfati da rare
narici divise al pianello, ilare
baccante di pampini.
Sentiamo irreposche domande
uscire dal gesto e ridevoli
malizie aggricciate
in intrico di lanci.
Poi te che lumeggi all’alba
in pastrano e lanterna
la piega del labbro t’è amica:
affisi nell’agguaffare le stringhe
andiamo io e te nell’aria
a ritroso.
(1988)