Se in musica scrivi
guardati dalle crome
risalenti la penna
distese morbide
sul foglio invergato.
Non sono l’alito
disperato,
le lingue amare
e odorose di
verbena finta
o i denti
acuminati che
strappano a
farfalle i pensieri.
Sono piuttosto
molli illusioni,
fasci di insenso
cercati a tentoni,
facile unità di pensiero
in essenziale colleganza
con amori semplici
e parventi, troppo.
Uccidi la parola,
smembra e dilania
il fuoco delle viscere
penetra il dentro
e vola per cadere
del botto d’un sasso
con ali tarpate
nel mattino vergognoso
della solitudibne
ché troppo compiace
per incantare.
Se tu potessi, mio io,
sapere odorare i fiumi
veri e opulenti del soffrire
e sapessi per infitta solitudine,
non guarderesti nuvole
domenicali con una
pagliuzza tra i denti
attento ai rombi del passato.
Allontanatevi sirene
seduttrici e lasciate
ciò che dentro c’è alle parole,
crete inespresse d’essere.
(1987)