4 Episodio della serie “Mentalist”
La sottile arte dei mentalisti non si impara: si eredita. È dunque necessario sapere che tra gli uomini si aggirano in incognito mentalisti di diverso livello ed esperienza in grado di dirigere silenziosamente i pensieri e le azioni dell’umanità.
Uno dei campi più proficui dell’attività mentalista riguarda dunque la filiera della persuasione: dalla pubblicità alle trattative diplomatiche è raro non trovare nelle delegazioni e nei gruppi di lavoro un mentalista che in incognito si adopera usando i suoi poteri per far andare a buon fine mediazioni o persuasioni che altrimenti non si potrebbero neanche pensare di osare. E anche per coltivare progetti personali che il mondo è meglio che non conosca…
Episodio 4 – Casting
“Terre dimenticate” pensò Delorean guardando dal finestrino del suo jet privato che sfrecciava nei cieli moldavi.
«Dieci minuti all’atterraggio, signore» disse l’hostess vestita con un’elegante uniforme blu.
«Grazie Zyanya» fece Delorean e si allacciò la cintura della comoda poltrona da viaggio. Si rilassò appoggiando la nuca sul poggiatesta imbottito.
Il suolo si avvicinava e cominciò a intravvedersi la pista dell’aeroporto di Chișinău. C’era vento e l’aereo ballava. Finalmente con un tonfo toccò il suolo e si fermò morbidamente davanti al portone di vetro dell’hangar dedicato ai Vip. Delorean si slacciò la cintura, si alzò, prese la valigetta che l’hostess gli porgeva, poi si fermò davanti alla porta della cabina di pilotaggio: «Vorrei partire alle 20 questa sera, Rodion» disse al pilota.
Questi brontolò qualcosa: «Cercherò di ottenere il permesso per quell’ora, ma non nascondo che sarebbe più facile se anticipassimo il decollo alle 19…»
Delorean aggrottò le sopracciglia: «Cercherò di arrivare per le 19 ma non te lo garantisco…» disse e uscì sulla breve scaletta.
Varcò la porta a vetri. Oltrepassò la postazione della polizia di frontiera senza fermarsi allo sportello: nessuno sembrò notarlo. Appena fuori dall’uscita, un’auto anonima, nera, con i vetri oscurati era parcheggiata vicino alla banchina dell’aeroporto. Delorean ci salì sopra e questa partì immediatamente.
«Buongiorno, mister Delorean» disse l’autista, una volta che furono in viaggio.
Delorean grugnì un saluto: «Non vorrei passare per Chișinău» disse.
«Non c’è una strada alternativa abbastanza veloce» rispose l’autista.
«Eppure una volta siamo passati per Ialoveni… lo ricordo» insistette Delorean.
L’autista si strinse nelle spalle: «Io ci passo anche, ma ci mettiamo quasi il doppio del tempo…» disse.
«Fai come vuoi Damir. Desidero arrivare il più presto possibile a Strașeni» si rilassò sul sedile e chiuse gli occhi per concentrarsi.
Mentre attraversavano quasi a passo d’uomo le grandi arterie di Chișinău gremite di auto, Delorean si chiedeva per quale stupido motivo avesse scelto tanti anni prima la cittadina di Strașeni per sistemare lì il suo archivio fotografico, nonché la sua agenzia di casting.
Subito due parole gli vennero alla mente: ordine e ordinarietà – che nella sua filosofia poteva anche essere sostituita con squallore. In effetti l’insignificante edificio all’altezza dello Stadion sulla quattrocentoquarantaduesima strada era quanto di più squallido si potesse immaginare. Costruito ai margini della zona industriale, nel punto in cui la città si perdeva e lasciava posto a un saliscendi di basse colline fitte di vegetazione, appariva come una desueta costruzione sovietica, grigia e insipida, fuori dal tempo e appartenente a una storia odiata che tutti cercavano di dimenticare. Pareti screpolate, entrata con porte a vetro segnate da un alone di sporco ai cardini e una bacheca di insegne posticce, banali, a tratti mancanti, come a indicare che quello era un posto dove uffici e minuscole ditte si aprivano e si chiudevano con una rapidità vertiginosa.
L’intero primo piano di quel mastodontico palazzo era occupato da un’anonima agenzia di casting, la cui insegna sbrecciata lasciava intuire trascuratezza e mediocrità.
Mentre finalmente l’auto usciva da Chișinău e acquistava velocità sulla strada piena di buche che andava a Strașeni, Delorean mise a fuoco l’altra parte del ragionamento che lo aveva portato proprio lì e da nessun’altra parte. Il primo punto era che aveva bisogno di un paese dove un benessere molto risicato rendesse tutto più semplice per chi avesse voluto prendere delle scorciatoie. E la Moldavia andava molto bene. In secondo luogo aveva bisogno di un luogo che si notasse poco e dove soprattutto i movimenti di coloro che frequentavano l’agenzia fossero giustificabili agli occhi di un osservatore esterno con una serie di coincidenze perfettamente accettabili. E lo Stadion con le sue saune e i gruppi sportivi che lo frequentavano offriva un alibi accettabile e al di sopra di ogni sospetto per il movimento e soprattutto per l’attività che si faceva nell’agenzia.
«Quanti appuntamenti abbiamo oggi?» chiese Delorean, come riscuotendosi.
«Non molti. Sei o sette credo» rispose Damir, laconico.
«Allora possiamo fare le cose con calma» commentò asciutto Delorean.
Si rilassò sul sedile: il Mercoledì era il suo giorno preferito. Un rito. Sveglia il mattino presto, aereo privato, un paio di ore di volo e poi il percorso per giungere all’agenzia, dove finalmente poteva lavorare al suo campo d’interesse principale: la ricerca della perfezione. Non esente da un certo interesse strettamente personale.
L’auto si fermò sul piazzale davanti all’edificio. Damir scese e andò ad aprire lo sportello a Delorean. Questi afferrò la sua cartella, il cappello a tesa larga e salì i quattro gradini che portavano a un’entrata che aveva conosciuto tempi migliori.
Al bancone di legno pieno di strisce scure sedeva come al solito una ragazza smunta che non appena vide Delorean si ravvivò e cercò di sembrare vivace e gentile: «Buon giorno signore» disse.
Delorean accennò un saluto e si infilò sulle scale che conducevano al primo piano.
La porta dell’agenzia esternamente appariva come una comune porta di appartamento. In realtà conteneva una lastra di blindatura assai resistente, ma gli ospiti non riuscivano a rendersene conto perché era leggerissima e cigolava, esattamente come un qualsiasi uscio poco oliato.
Le cose cominciavano a cambiare non appena entrati: una saletta pulita, anche se non lussuosa ma ordinata e con un discreto arredamento accoglieva gli ospiti. Una signora di mezza età, truccata ed elegante sedeva a una scrivania e filtrava chiunque arrivasse.
Quando Delorean varcò la soglia gli sorrise. Sbrigativo, le lanciò uno sguardo dubbioso.
«Sono già nelle salette individuali di attesa» gli rispose, prevenendo la domanda.
«Ottimo. Qualche minuto e cominciamo. Martin?»
«Nella sala di posa di accettazione»
Delorean accennò un assenso: «Ci sono le schede sulla mia scrivania?»
«È tutto pronto» lo rassicurò quella.
Delorean entrò in una porta che dava in un lussuoso corridoio al termine del quale un’ulteriore porta divideva il suo ufficio dal resto dei locali. A mano a mano che ci si addentrava nei recessi più segreti dell’agenzia l’arredamento diveniva via via più raffinato sino a raggiungere una ricchezza inimmaginabile dall’esterno.
Gettato l’impermeabile sull’attaccapanni si accomodò sulla poltrona Chesterfield di cuoio e scorse brevemente le schede fotografiche dei sette candidati che erano stati selezionati.
Infine prese la cartellina e si avviò verso l’anticamera di selezione che stava proprio dirimpetto alla sala di posa di accettazione.
«Signor Delorean» fece Martin quando Delorean si affacciò nella sala.
«Io sono pronto» disse questi.
«Vado a chiamare il primo» fece Martin, prendendo una macchina fotografica con un grande obiettivo innestato.
Delorean entrò nell’anticamera di selezione, arredata come un salotto elegante, con divani a elle dai colori sgargianti. Si sedette su una poltrona, posando accanto a sé la cartella.
Martin entrò accompagnando un ragazzone con una selva di capelli biondo-rossastri e occhi azzurri inquietanti. Il suo corpo era massiccio, atletico e dava un’impressione di solidità. Era vestito con una tuta da ginnastica blu marcata adidas e una maglietta bianca. I muscoli strabordavano e tiravano la maglietta.
Era piuttosto nervoso e qualche chiazza rossa sul collo tradiva la sua emozione.
Delorean gli inviò un impulso di parziale calma, si alzò e gli strinse la mano: «Benvenuto. Nome?» chiese.
«Yaroslav Doga» gli rispose quello con una voce secca, giovane, piuttosto acuta.
«Quanti anni hai?»
«Diciassette, quasi diciotto» disse quegli.
Delorean si girò verso Martin che allargò leggermente le mani.
«Sediamoci» lo invitò Delorean.
«Hai un gran fisico. Quale sport fai?» disse infine dopo che si furono seduti.
Yaroslav sorrise: «Ginnastica artistica maschile. Mi sto specializzando negli anelli, ma tengo aperta anche la sbarra. Il mio allenatore dice che ho possibilità anche con quella»
Delorean annuì: «Quale scuola fai?»
«L’istituto di ginnastica a Chișinău»
«Sarai molto impegnato con gli allenamenti» buttò lì Martin.
«Mi alleno tutti i giorni della settimana eccetto uno a rotazione. Una tecnica del mio trainer»
«E oggi ti sei allontanato per venire qui» suggerì Delorean.
Il ragazzo sorrise: «Esatto».
«Mi chiedo come mai uno sportivo come te abbia avuto l’idea di contattarci…» disse con noncuranza Delorean, dopo qualche istante di silenzio.
Yaroslav arrossì violentemente: «Mi hanno detto che pagate molto bene» balbettò.
«Quindi sei venuto qui per soldi» disse Delorean, poi aggiunse: «E la tua carriera sportiva? Forse i tuoi superiori non sarebbero molto contenti di vedere un loro atleta…» e non finì la frase.
Il ragazzo scosse il capo: «Se devo dire la verità, io non credo di essere molto bravo… penso che l’idea di andare avanti nel giro sportivo potrebbe terminare presto… quando non sei quel che vogliono loro, fanno in fretta a buttarti fuori dall’Istituto»
«E tu non vuoi tornare al paesello con la coda tra gli stivali, giusto?» lo canzonò Delorean.
«Più o meno»
Delorean lanciò uno sguardo a Martin: «Potresti lavorare. Un torello come te potrebbe fare un sacco di lavori, anche di facciata»
Yaroslav sbuffò: «Ho sempre fatto ginnastica e ginnastica. Non so fare nient’altro. Per essere impiegato in qualsiasi hotel dovrei avere un diploma che non ho»
«Ho capito. Non hai voglia di lavorare e pensi che qui si guadagnino soldi facilmente» insinuò Delorean.
Il ragazzo avvampò ma non rispose nulla.
«E magari hai anche pensato che ti saresti divertito un po’, vero? Di’ la verità» continuò Delorean spietato.
Il ragazzo divenne ancora più rosso ma anche questa volta non rispose nulla.
Delorean guardò Martin che rimase impassibile: «Boh, in fondo a noi non interessano le motivazioni, giusto? Alzati un po’ in piedi per piacere»
Yaroslav si alzò.
«Girati»
Il ragazzo fece un giro su se stesso.
«Un vero fairy boy» commentò Delorean «Che ne dici?» fece rivolto a Martin.
«Ha la pelle molto chiara» disse, cominciando a scattare qualche fotografia.
Delorean si alzò e si avvicinò al ragazzo per osservare da vicino qualche dettaglio: «In genere non mi piacciono gli atleti perché suggeriscono idee di anormalità… e noi non trattiamo questo genere di attori. Però la tua faccia non mi dispiace. È veramente molto… fairy» disse.
«Grazie» fece Yaroslav.
«Possiamo vedere il tuo fisico? Puoi toglierti la maglietta?» disse Delorean.
Yaroslav ubbidì.
«Hai davvero la pelle molto chiara. Non prendi mai sole?» commentò Delorean.
Il ragazzo fece un cenno di diniego: «Diventerei rosso come un pomodoro. Non mi abbronzo io»
Martin scattava un foto dietro l’altra.
«Bene. Ho visto abbastanza» disse Delorean dopo avergli girato intorno.
«È molto pallido» commentò Martin.
«Può essere un pregio» fece Delorean. Martin continuava a scattare foto.
«Questo non è un servizio, sia ben chiaro» precisò Delorean «È un colloquio di accettazione»
«Sì, lo so, me l’hanno detto» disse, timido, il ragazzo.
«Come ti senti?» gli chiese Delorean mentre gli girava intorno.
«Un po’ nervoso» rispose quegli sinceramente.
«Girati per piacere»
Il ragazzo si girò.
Delorean osservò attentamente alcuni dettagli di quel corpaccione poi stirò: «Ok, puoi rivestirti»
Yaroslav si rivestì in fretta.
«Se ti prendessimo, che cosa saresti disposto a fare?» chiese a bruciapelo Delorean, avvicinandosi al ragazzo.
Questi divenne di fuoco: «Quello che mi chiedete… se non è troppo…» rispose esitando.
Delorean rise: «Troppo che cosa? Ti sei presentato all’agenzia, hai visto le nostre richieste…»
«Sì, ma io non sono… cioè… propriamente un attore» rispose Yaroslav farfugliando.
Delorean tacque per qualche minuto: aveva voglia di sondare più a fondo la mente del ragazzo, ma si astenne, per etica.
«Vedremo. Per intanto accomodati nella saletta dov’eri prima e aspetta»
«Ok» assentì Yaroslav e uscì goffamente dalla stanza.
Quando fu fuori Delorean disse a Martin: «Che te ne pare?»
Questi sillabò un neutro: «Non so»
«È un ragazzotto un po’ scemo. Ha bisogno di soldi. Non mi sembra interessante» disse annoiato Delorean.
«Fisicamente non è male. Può esserci utile» commentò l’altro.
«È ottuso. Non capisce molto»
«Può non essere un difetto, capire poco» sentenziò Martin «Che faccio? Scarico le foto in archivio?»
«Per adesso mettiamole, poi vediamo» concluse Delorean.
«Vado a prendere l’altro» fece Martin uscendo.
Il secondo apparve subito più interessante. Biondo anche lui, con una faccia intelligente. Si avvicinò a Delorean e gli porse la mano: «Bongiorno signore. Mi chiamo Edward Sirbu»
Delorean gliela strinse forte ricevendo una decisa risposta: «Buongiorno Edward. Quanti anni hai?»
«Diciotto, appena compiuti» dichiarò quegli.
«Siediti» fece Delorean indicando un divanetto.
«Che cosa stai studiando?» gli chiese.
Il ragazzo lo guardò curioso: «Potrei anche non andare più a scuola» disse sfidandolo.
Delorean sorrise: «Vediamo se indovino: stai facendo un istituto tecnico, diciamo a indirizzo telecomunicazioni» disse beffardo.
«Come ha fatto a indovinare? Non l’ho scritto nella scheda di presentazione» chiese quello quasi spaventato.
«Intuito» rispose sibillino Delorean.
«In effetti mi interessa Internet e tutto quello che riguarda la tecnologia della comunicazione. E non vado male a scuola» disse Edward, rilassandosi.
«Si capiva. Quel che non si capisce è perché dei finito qui. Potresti spiegarmelo?»
«Oh, bella. Perché quello che fate mi interessa» rispose con naturalezza il ragazzo.
«È un tipo a cui interessano molte cose» commentò Delorean con Martin, beffardo.
«La comunicazione è un business sulla rete. E lo sarà sempre di più. Vorrei approfondire l’argomento facendo qualche esperienza» disse Edward.
Delorean fece una smorfia: «Cos’è, hai intenzione di mettere su un sito? E vuoi vedere come si fa?»
«Più o meno. Prima di decidere voglio capire che ambiente c’è dietro, che cosa si vive… niente di meglio che provare di persona» rispose il ragazzo.
«Ragguardevole. Tu sei uno che non ha paura di essere bruciato da affaristi senza scrupolo… diciamo degli orchi…» disse maligno Delorean.
Il ragazzo rise: «Orchi? Distinti uomini di affari, piuttosto…»
Fu la la volta di Delorean ridere: «Non hai paura di nulla tu?»
«Conoscere è l’unica sfida che conosco» sentenziò il ragazzo.
«Sei presuntuoso… ma mi interessi più di un qualsiasi belloccio. Vediamo un po’, alzati per favore»
Edward si alzò. Martin prese a scattare foto. Il ragazzo lo guardò interrogativo.
«È per la selezione. Se non ti scegliamo distruggeremo tutto» disse monotono Delorean.
«Chi me lo garantisce?» chiese il ragazzo, scuro.
«Questo distinto uomo d’affari che ti sta davanti» lo canzonò Delorean «Hai muscoli alle braccia. Fai sport?»
«Faccio palestra. Sono studioso ma non sono un nerd» protestò Edward.
«E fai bene ma il tuo allenamento non è perfetto. Sei un po’ carente di pettorali e trapezio»
Il ragazzo avvampò: «Faccio del mio meglio» protestò.
«Non è abbastanza» oppose Delorean, implacabile. Martin scattava.
«Girati» gli ordinò.
Il ragazzo fece un giro su se stesso.
«Non sei malaccio dal punto di vista fisico»
«Grazie» rispose quegli.
«Va bene. Puoi sederti» fece laconico Delorean.
Il ragazzo parve quasi deluso: «Non devo fare qualcosa… recitare un brano…»
«No, per carità, no. Questo è un colloquio di selezione» gli rispose Delorean.
Edward si sedette: «E voi non fate cose tipo… porno…»
Delorean gli rise in faccia: «Santo cielo, no. Siamo un’agenzia di casting molto seria…»
«Ah» replicò Edward con un’aria un po’ delusa.
«Puoi andare. Ritorna nella saletta dove eri prima e attendi. Ti chiameremo a breve per dirti se ci interessi o no» gli disse nutro Delorean.
«Avrei una domanda. Quanto pagate un servizio pubblicitario?» arrischiò quegli.
Delorean ghignò: «Ti interessano i soldi eh? Per adesso non ne parliamo. Se ci interessi saprai tutte le condizioni»
«Ok. Aspetterò»
«Non è detto che ti prendiamo» sottolineò Delorean, irritato.
«L’ho capito perfettamente. Attenderò nella saletta» rispose il ragazzo educatamente e uscì dalla porta della sala.
«Oggi è la giornata della presunzione» fece Delorean ridacchiando.
Martin alzò le spalle: «Fisicamente non è male. E non è uno stupido»
«C’è di meglio, ma questo potrebbe essere interessante. Devo valutare…» sospirò Delorean «Vediamo il terzo»
Martin uscì.
“No, questo non è stupido. Si crede solo un po’ troppo furbo. Vuole conoscere l’ambiente. Ha i suoi obiettivi” Delorean scosse il capo.
In quel mentre Martin introdusse uno con una faccia da bravo ragazzo, luminosa e sorridente.
«Serafin. Yurkovich.» disse gentile quasi inchinandosi davanti a Delorean.
«Hai un bel sorriso, Serafin. Complimenti» gli rispose.
«Grazie» fece quegli orgoglioso.
«Non mi sembri un attore. Di solito quelli che si presentano qui sono sempre un po’ sofisticati… hanno il culto del corpo, si vestono in modo vistoso, hanno orecchini, piercing, tatuaggi… tu non hai niente di tutto questo e sei vestito in modo molto semplice» commentò Delorean. Serafin si schermì: «Sono uno alla buona… non mi piace presentarmi per quello che non sono» disse.
«E perché dovrei scegliere proprio te? Dimmi tre ragioni» propose Delorean, incuriosito.
«La prima è che non sono brutto e in genere piaccio abbastanza. La seconda è che non faccio storie. Lavoro bene e pulito. La terza è che ho poche pretese»
«Mi sembrano tre ottime ragioni. Ma noi chiediamo molto ai nostri attori, devono essere un po’ sopra le righe. Te la sentiresti, tu, di essere un po’ sopra le righe?»
Il ragazzo si illuminò con un gran sorriso: «Penso di sì. Potrei anche esserlo…»
«Che cosa ti piace, in genere? Qual è la tua passione?» chiese Delorean.
«Mi piace la musica»
«Quale musica?» si informò Delorean.
«Classica»
«Autori?»
Il ragazzo si fermò un momento a pensare: «Romantici, in genere. E poi ho qualche preferenza: Elgar, Fauré, Rachmaninov, Massenet…»
«Onore al merito» apprezzò Delorean «Sei religioso?» chiese dopo qualche istante passato a fissarlo.
«No. Non nel senso tradizionale del termine» rispose Serafin.
«Quindi sei religioso, anche se in modo non convenzionale» insistette Delorean.
«Non direi» precisò il ragazzo «Credo che ci sia una mente superiore che ha ordito tutto, ma le forme convenzionali di religione mi sembrano banali…»
«Sei un deista»
«In un certo senso, sì» disse infine il ragazzo.
«E il cinema? Ti interessa?»
Il ragazzo si illuminò: «E a chi non interessa?» fece per tutta risposta.
Delorean annuì: «Cammina, per piacere, Serafin» disse.
Serafin sfoggiò un altro sorriso e si alzò, camminando per la stanza.
«Sei asciutto e contenutamente atletico. Mi piaci» disse Delorean guardandolo «Girati per piacere»
Serafin disse: «Grazie signore» e si girò.
Delorean non resistette e diede una sbirciata alla mente del ragazzo. Trovò tutto a posto, luminoso, ordinato, pulito senza remore.
“Eppure un punto oscuro ci deve essere…” disse tra sé e sé.
Poi improvvisamente, tra due immagini infantili seppellite nei ricordi vide un varco nero che affondava nella personalità del ragazzo.
«Fermati, ho visto abbastanza» ordinò Delorean.
Serafin obbedì prontamente.
«Vai nella saletta dove eri prima e aspetta. Entro poco tempo ti facciamo sapere se ci interessi o meno» disse Delorean neutro.
Il ragazzo tornò nuovamente quasi a inchinarsi davanti a Delorean e uscì.
«Oggi fa un po’ caldo qui dentro. Avete regolato i condizionatori?» biascicò Delorean mentre si dirigeva verso un lussuoso mobile bar.
«Come sempre» rispose il fotografo
«Vuoi una bibita fresca?» chiese Delorean.
«Grazie signore. Se c’è una Coca…» rispose questi.
«Che domande. Sai benissimo che c’è. Tieni»
Martin posò la macchina fotografica, si sedette sul divanetto dei candidati, si rilassò e bevve la bibita a lunghi sorsi.
«Quanti ce ne sono ancora?» chiese Delorean fissandolo attraverso le sue iridi chiarissime.
«Quattro» rispose Martin.
«Solo?» chiese Delorean.
«La faccenda è che nessuno crede più alla storia di Hollywood, qui. Un tempo era più facile. Adesso vanno tutti su Internet e sono molto più scettici. E pensano che in realtà noi facciamo porno…» disse Martin. Poi dopo aver esitato un poco: «Infine il posto che avete scelto non, è, diciamo, dei migliori per trasmettere fiducia… così in periferia, in questo edificio squallido…»
«Ho i miei motivi. Fai entrare il prossimo senza farmi l’omelia» ordinò Delorean. Martin assentì e uscì, per rientrare subito dopo con il quarto candidato.
Delorean si massaggiò le tempie e vuotò il suo bicchiere. Il ragazzo che entrò subito dopo si muoveva dinoccolato ed elegante.
«Ancheggia troppo» borbottò Delorean fra sé e sé.
«Buongiooorno» fece il ragazzo con una vocetta stridula che lo infastidì subito.
«Giorno» gli rispose ostile «Nome?»
«Hilarion Hodobesku, per servirla» fece il ragazzo porgendogli la mano. Delorean la strinse: era sudaticcia e fiacca. Ritrasse la sua quasi disgustato.
«Il tuo volto è molto bello. Molto curato» disse Delorean, per cominciare il discorso.
«Grazie. Sono molto attento alla cura personale. Ma anche il resto non è da meno, vedrà. Faccio molta ginnastica e mi attengo a una dieta ferrea» rispose il ragazzo in tono effeminato.
«Ti prego non fare lo stupido con me. Detesto gli esibizionisti» sbottò irritato Delorean «Cerca di tenere un atteggiamento dignitoso»
«Dignitoso?» fece l’altro avvampando.
«Appunto»
«Ho capito» fece Hilarion incupendosi.
«Bene. Ricominciamo. Perché sei qui?» chiese brusco Delorean.
«Oh, bella. Perché io adoro recitare e credo di intendermene alquanto. E sono molto esperto in tutte le cose che riguardano teatro e cinema»
«Sono due cose diverse. Sei gay?» gli chiese a bruciapelo Delorean.
Il ragazzo fece un sorriso cupo: «E se anche fosse, che importanza avrebbe?»
«Nessuna. Ma mi piacerebbe saperlo prima» fece Delorean.
«E io non ho nessuna intenzione di dirlo» fece l’altro di rimando.
«Affari tuoi» concluse Delorean «Alzati e vai un po’ in giro…»
Hilarion si alzò e principiò a camminare, cercando di non ancheggiare troppo.
«Cammina in modo decente, per favore» lo rimbrottò Martin.
Hilarion sbuffò e cercò di assumere un’andatura più sciolta.
«Non mi serve un indossatore, forse non l’hai capito» smozzicò Delorean. Poi sospirò: «Va bene, ho visto abbastanza. Non sei tanto male. Come ti ho già detto, seriamente, se vorrai lavorare con noi – se ti sceglieremo – dovrai essere meno affettato. Un poco più…naturale»
«Naturale? Che cosa vuol dire?» chiese quegli, punto sul vivo.
Delorean alzò gli occhi al cielo: «Prendila come vuoi. Ho detto naturale, così come sei»
«Io sono così» replicò l’altro.
«E allora così non ci servi» sbottò Delorean.
«Proverò a cambiare. Ho saputo che pagate molto bene…» insinuò.
Delorean rise: «Questa è l’unica cosa che ti interessa vero? Guarda però che qui bisogna saper essere creativi lavorando alla comunicazione»
Hilarion annuì: «Questo mi interessa molto. Imparerò un sacco di cose con voi» affermò, convinto.
«Prima devi essere scelto. E adesso per piacere vattene e aspetta nella saletta dove eri prima. Se ci interessi te lo diciamo»
Hilarion uscì rigido come un manichino dalla porta.
Delorean guardò Martin severo. Quegli allargò le braccia: «Non possiamo essere troppo selettivi se vogliamo…» disse.
«Fanne entrare un altro» ordinò Delorean interrompendolo e andò a sedersi nuovamente nella sua poltrona.
Non appena Martin uscì, Delorean registrò con la mente le immagini che aveva catturato di Hilarion e le depositò nel solito banco di memoria, insieme alle migliaia di altre che già conteneva. Fece una rapida operazione di confronto con un gruppo di fotografie che se ne stava messo da parte in un sotto-banco ben preciso.
«Quella tipologia ha caratteri comuni» disse al termine della rapidissima comparazione. Si soffermò in particolare su un paio di immagini, una di due secoli prima e una del secolo precedente.
«Sembrano usciti dallo stesso ceppo» mormorò, mentre entrava un ragazzo alto, molto deciso.
Andò a sedersi sulla poltroncina davanti a Delorean che lo studiava con attenzione. Martin scrutava il volto del principale cercando un segno di approvazione.
Delorean rimase impassibile mentre faceva le sue prime valutazioni.
Il ragazzo ruppe il silenzio: «Buongiorno» disse con una voce profonda ma giovane. Il volto aveva una mascella pronunciata ma non troppo volitiva, il naso diritto.
«Nome?» chiese Delorean.
«Denis. Gozhanu. Sono di Condrita» rispose il ragazzo.
«Denis. Condrita è qui vicino, vero?»
«A pochi chilometri» disse il ragazzo stirando un sorrisetto.
«Alzati» ordinò Delorean.
Denis si alzò.
«Ti muovi in modo piuttosto elegante» osservò Delorean.
«Faccio danza signore» rispose quegli.
«Hai un’espressione pensierosa, tuttavia» disse Delorean.
«È la mia faccia» rispose quegli, con semplicità.
Delorean fece un cenno di assenso: «Puoi toglierti un momento il ciuffo dagli occhi? Vorrei vedere la tua espressione»
Denis si alzò il ciuffo, rivelando due occhi profondi, a tratti cupi che sembravano osservare il mondo con disinganno.
«Sei un tipo pensieroso» azzardò Delorean, mentre il ragazzo annuiva con il capo.
«Preferisco usare il cervello piuttosto che seguire l’istinto» disse Denis.
«Questo per noi va bene. Non è vero Martin?»
Il fotografo annuì con il capo, poco convinto.
«Fai sport?» chiese Delorean.
«Vado in palestra» rispose brevemente il ragazzo.
«E questi occhi?» chiese Delorean alludendo agli occhi chiarissimi, quasi albini del ragazzo. Questi sorrise: «Mia madre. Anche lei ha occhi di questo colore»
«Con uno sguardo simile potresti fare molta fortuna» disse Delorean scribacchiando qualcosa su un quadernetto «Alzati per piacere»
Denis si alzò.
«Girati»
Il ragazzo girò su se stesso lentamente.
«Quale scuola fai?» chiese Delorean.
«Ho terminato gli studi superiori. Sto cercando di entrare all’università» rispose quegli.
«Facoltà?»
«Informatica. Ma è molto difficile. C’è molta competizione. E Bisogna avere molti soldi» disse il ragazzo.
«E così vorresti pagarti gli studi con qualche lavoretto poco impegnativo?» domandò Delorean.
Denis allargò le braccia: «Sto cercando qualcosa»
«E sei venuto qui»
«Si prova un po’ di tutto» fece rassegnato il ragazzo.
«Ma tu sei convinto? Voglio dire saresti disposto a lavorare seriamente per noi?» chiese Delorean.
«Dipende da quel che c’è da fare. Però vi avverto subito: non faccio porno» disse sicuro di sé il ragazzo.
«Noi non facciamo quella roba lì» disse Delorean sprezzante. Ma in genere chiediamo molto impegno ai nostri attori perché il lavoro di comunicazione sviluppato dalla nostra… diciamo… azienda, è molto importante»
«Quanto importante?» s’informò il ragazzo.
«Assai» rispose sibillino Delorean.
Il giovane stette un momento in piedi a pensare, poi si sedette sul divano: «Non voglio un impegno totalizzante, ma in genere quel che faccio lo faccio con impegno. Se non è una cosa impossibile, direi che si potrebbe fare»
Delorean annotò questa risposta. Squadrò ancora il ragazzo, quello sguardo così penetrante: «Sono incerto. Qualcosa mi dice che dovrei prenderti, ma qualcos’altro mi dice di no. Probabilmente dovremo conoscerti meglio prima di darti una risposta definitiva, ma ti devo dire che di quelli che ho visto oggi, sei quello che mi convince di più»
«Sono contento» commentò semplicemente il ragazzo.
«Per adesso torna nella saletta da cui sei venuto, e aspetta che ti diciamo qualcosa.
«Ancora un momento» disse il fotografo vedendo che Denis si alzava per uscire dalla stanza. Si avvicinò al suo volto e scattò una serie di immagini.
«Puoi andare» disse infine. Il ragazzo si alzò, salutò gentilmente e uscì dalla stanza.
Delorean sospirò. Si alzò dalla poltrona e si diresse verso il frigorifero. Martin continuò ad armeggiare con la sua macchina fotografica.
«Anche queste sono in archivio» disse poi.
Delorean era impassibile. Sorseggiava qualcosa da un bicchiere elaborato e non lasciava trapelare la minima emozione.
«È soddisfatto dei provini di oggi?» chiese Martin.
«Mi pare difficile trovare quel che cerco» disse infine mentre scrutava il liquore attraverso la luce che penetrava dalla finestra.
«Dipende da che cosa si cerca» osservò il fotografo.
Delorean sorrise: «La tua è una prospettiva semplificata. Ovviamente. Ogni ricerca è vitale, in qualche modo e questa mi è particolarmente pressante»
Martin guardò perplesso Delorean: «Abbiamo visto centinaia di ragazzi. Molti li abbiamo impiegati in progetti di poco conto. Qualcuno è andato più lontano, potremmo dire che l’abbiamo lanciato noi. Pochissimi sono diventati volti noti. Ma, se devo essere sincero, la smania con cui facciamo i provini, qui, mi pare celi qualcos’altro. Non mi è chiaro che cosa ma ne sono sempre più convinto»
Delorean sorrise, sprezzante: «Sei un acuto osservatore. Il mestiere che fai ti facilita nel cogliere i dettagli. Tuttavia lasciami dire che a te e a tutti quelli che lavorano qui non conviene che trovi quello che cerco»
«Volete chiudere baracca e burattini?» chiese allarmato Martin.
Delorean lo fissò assorto: «No, penso che adotterò un’altra soluzione per evitare che tu finisca sul lastrico o quanto meno in mezzo alla strada»
Martin respirò: «Certo, se si sapesse quel che cercate o chi cercate, sarebbe più facile trovarlo» azzardò.
Delorean si sedette sulla poltrona: «Alle diciannove devo essere in aeroporto» disse.
«Va bene, va bene» brontolò Martin e si allontanò per chiamarne un altro.
Delorean si accomodò sulla poltrona e chiuse gli occhi. In realtà non aveva alcuna fretta. E in fondo quell’attività gli piaceva. Gli piaceva il fatto che fosse seminascosta, che fosse ben coperta, che fosse in un paese insignificante e che si potesse mantenere in piedi senza fare investimenti astronomici. Tuttavia ebbe la netta sensazione che il piacevole svago del Mercoledì avesse a finire molto presto. E su quel genere di sensazioni, Delorean sapeva che non si sbagliava.
All’entrata del sesto ragazzo cercò di scacciare quei pensieri e si concentrò sul candidato. Aveva un’espressione quasi smarrita, un poco infantile, assai gradevole, gli zigomi pronunciati.
«Nome?» chiese.
«Dmytro. Petrovich» sillabò il ragazzo, nervoso.
«Di dove sei?»
«Tsebrycove. Sono Ucraino» disse con un certo orgoglio.
«Nella vita che cosa fai?» s’informò Delorean.
«Lavoretti. Ho già fatto il modello per un’agenzia» disse.
«Non mi pare di averti notato prima di adesso» disse indifferente Delorean.
«È una piccola agenzia» si giustificò il ragazzo arrossendo.
«Sei un atleta» commentò Delorean «Hai le spalle larghe»
Il ragazzo sorrise: «Faccio molta palestra»
«Con quali soldi?» chiese, maligno Delorean.
«Faccio dei lavoretti. Seguo qualcuno che deve allenarsi in un certo modo…» rispose il ragazzo.
Delorean si stava annoiando. Non c’era niente di interessante in quel tipo dalla faccia da cerbiatto, spaurito e fuori posto.
«Fatti fare qualche fotografia segnaletica da Martin e poi torna in saletta. Ti diremo se ci interessi oppure no» disse sbadigliando.
«Mi devo spogliare?» chiese timido quello.
«Santo cielo, no. Ma pensate che tutti quelli che fanno casting siano dei perversi produttori di porno da queste parti?» rispose spazientito Delorean.
«Se vai in qualsiasi agenzia ti chiedono di farti fotografare nudo» balbettò il ragazzo.
«Se non è un’agenzia seria» oppose Delorean.
Martin si alzò dal suo sgabello e scattò qualche immagine.
«Ok. Puoi andare» fece Delorean.
Quando il ragazzo fu uscito si rivolse a Martin: «Questo dove lo hai preso?» chiese, beffardo.
«Non ha un brutto volto» si difese il fotografo.
«Non basta avere un bel volto per lavorare con noi, lo sai» obiettò Delorean.
«Si presenta chi si trova» rispose, gelido, il fotografo.
«Ce n’è ancora uno?» chiese Delorean.
«Sì. Ero incerto se convocarlo. Non mi pare adatto… se non avete tempo lo congediamo subito» disse il fotografo.
Delorean lo guardò corrucciato: «Decido io se è adatto o no. Fallo entrare. Se è un coglione come quello di prima lo sbattiamo fuori in fretta»
Martin alzò gli occhi al cielo, poi uscì dalla stanza. Rientrò poco dopo con l’ultimo candidato.
Prima ancora di vederlo, Delorean sentì come una scarica elettrica nell’aria che attrasse la sua attenzione.
Dietro Martin camminava un ragazzo alto, slanciato. Indossava una camicia bianca, vaporosa, sbottonata fino al petto e pantaloni chiari.
Quel che impressionò subito Delorean furono gli occhi d’un azzurro profondo che lo fissarono sicuri. In quel preciso momento fu sicuro che lui era colui che cercava.
Fingendo indifferenza salutò il ragazzo che si accomodò sulla poltroncina.
«Come ti chiami?»
«Bochuslav Bodnar, signore» rispose quegli con una voce giovane, sonora.
«Quanti anni hai? mi sembri molto giovane…» disse Delorean.
«Diciannove, signore»
«Non ci credo. Hai la carta di identità?» domandò Delorean.
Bochuslav gli porse una carta che aveva estratto da un minuscolo portafogli. Delorean lesse il documento: in effetti aveva l’età dichiarata.
«Hai un aspetto molto giovanile» disse.
Il ragazzo sorrise e il volto si illuminò: «Me lo dicono in molti»
Delorean osservò che ispirava simpatia, nonostante l’aspetto quasi diafano del volto, accentuato da una folta capigliatura bionda dal taglio perfetto.
«Fammi indovinare: tu sei uno studente» disse Delorean.
«In realtà lavoro. E studio anche» rispose il ragazzo.
«Quale lavoro fai?»
«Sono un cantante. Lirico. Precisamente un controtenore»
«Un controtenore?» fece Delorean meravigliato «Ragazzo, tu sei quasi un extraterrestre»
Bochuslav si schermì: «Sono solo. Devo mantenermi»
Questa affermazione produsse un fremito in Delorean: «La tua famiglia?»
Il ragazzo sospirò: «Ho perso i miei genitori da qualche anno. Mi sono dovuto arrangiare. Disgraziatamente non avevamo parenti vicini. Così sono stato in orfanotrofio fino allo scorso anno. Per fortuna lì ho potuto studiare. Mi sono diplomato lo scorso anno in canto barocco. E adesso vivo di concerti. Ma mi piacerebbe integrare con qualche altro lavoretto: per questo sono venuto qui»
Delorean sentì un fremito di eccitazione corrergli per la colonna vertebrale: non l’aveva più provato da qualche decennio. Sì il ragazzo era notevole: era bello, era solo – quindi poteva sparire senza fare troppo chiasso – era un artista. Lui prediligeva gli artisti: avevano sempre qualcosa da insegnare durante la trasmigrazione. E questa volta avrebbe fatto una trasmigrazione pattuita, lo decise all’istante, senza cioè annullare la personalità già presente in quel corpo incantevole. Gli avrebbe dato una sferzata di giovinezza, e quel Bochuslav probabilmente si sarebbe divertito un mondo a scoprire che anche lui era stato un famosissimo controtenore nel settecento. Che aveva creato una nuova tecnica di canto e che aveva dato una svolta al genere musicale. Sì, si sarebbero divertiti una volta fusa la loro personalità.
E poi il volto non era sfacciato. Era gentile. Quasi angelico.
Delorean prese la decisione. Fingendo indifferenza chiese a Martin di fotografarlo. Mentre il fotografo lavorava Delorean mise a punto il protocollo di trasmigrazione e preparò la procedura per sparire dalla circolazione come aveva fatto innumerevoli volte nel corso dei secoli.
Poi quando Martin ebbe terminato salutò freddamente il ragazzo, al quale mandò l’ordine mentale di scendere di sotto e di salire sulla sua auto parcheggiata nel silo sotterraneo degli uffici.
Quando ebbero congedato il ragazzo, Delorean si stirò, cercando di nascondere l’agitazione crescente che provava.
«Anche per oggi abbiamo finito» disse.
Martin lo guardava stranito.
«Che cos’hai da guardare?» gli chiese Delorean mentre aspettava il cappotto e il cappello.
«È capitato qualcosa, lo sento» disse il fotografo senza smettere di fissarlo.
Delorean bloccò la sua mente, penetrò dentro le sue reti neuronali e le rimodellò: in quel momento Martin divenne il padrone dell’agenzia fotografica che dirigeva da vent’anni e smise di conoscere Delorean. Contemporaneamente cambiò le coordinate spazio temporali a tutti gli impiegati che impararono all’istante a riconoscere Martin come il capo.
Delorean scelse di essere per lui come un cliente.
Poi fece ancora alcuni ritocchi, creò i documenti di proprietà e li materializzò nel cassetto della scrivania mentre l’arredamento cambiava secondo i gusti di Martin. Quando tutto fu pronto Martin ritornò in coscienza. Era seduto alla scrivania mentre Delorean si trovava sulla poltroncina del cliente.
«Allora abbiamo concordato così. Il servizio fotografico con… come si chiamava…. Gozham ce lo spedite entro una quindicina di giorni e all’atto della ricezione ve lo pagheremo immediatamente. Sono molto contento di aver trovato un modello come quello» disse Delorean alzandosi.
Martin, che aveva cambiato atteggiamento e ora aveva un’espressione assorta, come di uno abituato a trattare strinse la mano a Delorean e lo accompagnò sino alla porta. Quando Delorean se ne fu andato, Martin era contento di essere riuscito a stipulare un contratto così vantaggioso con quel cliente.
Delorean scese le scale sino al sotterraneo.
Salì sulla macchina.
«Damir dobbiamo essere all’aeroporto entro le diciannove, altrimenti Rodion smania» disse.
Poi si voltò verso il ragazzo seduto sul sedile della limousine davanti al suo.
«Buonasera, Bochuslav» lo salutò.
«Buonasera signor Delorean» disse Bochuslav.
«Adesso andremo a prendere l’aereo per spostarci in Giappone nella tana dove avverrà la trasmigrazione» disse sottovoce Delorean per non farsi udire da Rodion «In aereo, durante la cena abbiamo molte cose da dirci»
Mentre l’auto partiva il ragazzo provò un’intensa felicità: così grande e piena come non l’aveva mai provata in vita sua.
Delorean sorrise e assentì con il volto.