Ricordando il Byron di So we’ll go a roving
La luna gettava le sue scaglie di luce sul lago. Refoli di brezza recavano il tepore della primavera. Fabian era disteso sul prato. Le braccia alzate contro il disco luminoso, con le dita giocava a a catturarlo nel circolo formato dal pollice e dall’indice: lì si ridimensionava in tutta la sua brillante piccolezza.
Sospirò, abbandonando improvvisamente le braccia sull’erba.
Era sorprendente come a poche centinaia di metri da casa, sembrava d’essere perduti nell’immensità della distesa erbosa, ondeggiante al soffio tiepido di un alito originato dalla vacua immensità del cielo tenebroso.
“Sì forse è proprio così che sarà quando saremo dall’altra parte” venne al pensiero del ragazzo. Girò qua e là il capo per cercare di capire il pulviscolo delle stelle nel suo intimo, poi chiuse gli occhi e si sorprese nel constatare che non v’era una grande differenza, perché le stelle continuavano a brillare dentro di lui.
«Che cosa fai Fabian, in mezzo al prato?» chiese una voce d’argento dietro di lui.
Il ragazzo rovesciò il capo e sorrise alla ragazza che si era affacciata dal viottolo. La traccia bianca del sentiero appariva quasi fosforescente e la pelle di Malina era trasparente alla luce lunare.
«Guardo la luna» disse Fabian tornando a contemplare il trionfo fresco di quell’occhio sospeso, lassù.
Malina alzò lo sguardo. Rabbrividì e si strinse nelle spalle.
«Vieni anche tu» la invitò Fabian tornando a guardarla: il volto della ragazza visto al contrario, disegnava una buffa espressione con la bocca in alto e gli occhi in basso. Si stentava a riconoscere che quella fosse proprio una faccia.
Malina entrò cauta nell’erba alta e raggiunse Fabian.
«É umido» disse sedendosi accanto a lui.
Questi la ignorò.
Malina prese un filo d’erba e cominciò a tagliarlo in due con l’unghia del pollice.
«Per vederla bene devi stenderti» disse Fabian senza guardarla.
«Fa freddo» disse Malina accostandoglisi un poco.
«Mettiti qui vicino a me» le sussurrò.
Malina tastò il prato e poi si distese rannicchiandosi in posizione fetale vicino a Fabian.
«Devi metterti prona» le disse gentilmente lui, voltandole con una mano il viso verso il cielo.
«Posso stare vicino a te?» chiese sommessamente la ragazza.
«Lo sei già» rispose lui passandole dolce il braccio sotto il collo.
Stettero in silenzio per un po’.
«Quanto è grande il cielo» disse lei.
Fabian sorrise nel buio..
«Stiamo facendo un bagno di luna» mormorò tra sé e sé.
Lei gli posò una mano sul petto. Lui la afferrò e se la portò alle labbra. Poi dopo averla sfiorata se la pose sulla faccia allargando le dita, in modo da lasciare una finestra sugli occhi.
Lei era beata e attraverso la mano inspirava il fiato profumato della sua bocca.
«Ti amo» gli sussurrò all’orecchio.
«Sssst» fece lui, girandosi verso di lei e appoggiandole l’indice sul naso.
«Perché devo stare zitta?» rise Malina.
«Non vorrai sprecare questo momento di puro amore con delle parole?» disse mimando una smorfia di disgusto.
Malina rise nuovamente e fece cenno di no con la testa. Poi rovesciarono il capo verso la volta stellata.
«Non so perché…» cominciò lui e si interruppe.
«Che cosa?» disse lei, distratta.
«Ti perdi quando guardi le stelle» la rimproverò quasi Fabian.
«Solo quando sono con te» disse lei.
«Non ci credo. Tu ti perdi sempre. Il cielo ti cattura. È quasi come se tu facessi all’amore con lui, invece che con me»
«Che cosa dici?» protestò lei.
Fabian la strinse a sé: «Sono geloso del cielo»
«Oh, no. Hai un rivale alquanto… superiore, non credi?» celiò lei.
Fabian si rovesciò di nuovo sull’erba allargando gambe e braccia a quadrato.
«Un rivale… come fa il cielo a essere un rivale?»
Malina tornò con lo sguardo sull’alone iridescente della luna che proiettava cerchi scuri alternati a cerchi più chiari nelle tenebre.
«Non devi aver paura» disse poi sommessamente «Il cielo ha già la sua amante. È lei, la luna»
Lui si alzò a sedere di scatto: «Non ci avevo mai pensato» disse. Si lasciò cadere nuovamente sul prato: «Adesso sì, sono tranquillo»
«Dài rientriamo» fece lei, scossa da un brivido.
«Un volta mi piacerebbe fare l’amore qui, sotto la luna» disse lui.
«Ci potrebbero vedere» rise lei.
«E allora? Compiremmo un rito antico. Pensa: se nascesse un bambino sarebbe il figlio di me, di te e della Luna»
«Mio Dio, no» disse Malina spaventata «È meglio non scherzare con queste cose» aggiunse.
Poi, vedendo che Fabian non si muoveva: «È bellissimo ma ho voglia di tornare in casa»
«Ancora un momento» replicò il ragazzo «È così magico qui…»
Malina sospirò. Si rannicchiò ancora di più vicino al corpo di Fabian. Ne sentì il calore e improvvisamente lo desiderò.
Fu come una scossa che raggiunse entrambi. Fabian la strinse ancora più forte a sé. Con un’energia quasi disperata.
Un’estasi così profonda da essere pagata con uno stilo fatto di nostalgia pura che gli attraversò il cuore e le viscere.
“Così ha da essere l’aldilà” pensò, “luogo senza spazio e istante senza tempo, dove tutto è già capitato, esattamente come in questo istante tutto è già successo da tempo immemorabile anche e si realizza secondo dopo secondo in questa pazza dimensione. Così creata da noi, da essere sublime e patetica al tempo stesso”.
Malina si era abbandonata al suo abbraccio e aveva chiuso gli occhi appoggiando la fronte sulle sue spalle.
Fabian respirava il diaframma di quella consapevolezza che abbaglia adamantina una volta nell’esistenza e marchia lo spirito con un suggello di grandezza e di infinita meraviglia.
Proprio quella domanda a cui l’amore sembra rispondere nella sua concreta e disincarnata arrendevolezza adesso gli si affacciava alla mente. Non tanto per Malina in sé, o almeno non intesa come persona fisica e concreta, quanto piuttosto per la sua profondità di vita, asse che lo attraversava e lo sondava senza limiti e lo denudava dalla sua dimensione di pensiero abitualmente orientato al quotidiano.
Come si poteva, si interrogò, essere così meschini da surdimensionare ogni cosa al poco cibo dell’anima che la vita serve, salvo poi farti esplodere in quella vacuità numinosa, gioiosa e appagante…
Sospirò nuovamente.
«A che cosa pensi?» chiese Malina, quasi addormentata.
«A nulla» le rispose Fabian per non sciupare la luce.
Malina si strusciò vicino a lui.
Lui la accolse con condiscendenza.
Pensò al suo corpo così desiderabile, e all’amore che illude l’individualità trasfigurandola in fusione estrema, un solo spirito, un solo corpo, così intimamente unità.
Poi realizzò di essere ancora al di qua, e fu duro dover aspettare chissà quanti anni prima di poter amare.
Chiuse gli occhi per smaltire la fitta che gli attraversava ancora e sempre le viscere e andò a terminare nella parte intima del suo cervello, facendolo fremere di inconfessabile piacere, precognizione di ciò che sarebbe potuto essere a coltivarsi così e perseguire grandezza spirituale che altro non è che infinita piccolezza e minuzia di percepire in sé le cose del mondo e del cosmo per come sono veramente al di là delle apparenze.
La luna ora era più piccola nel mezzo del cielo e Fabian percepì di aver esaurito la profusione di luce che stava lasciando in lui un torpore fresco e felice.
Si alzò a sedere, trasse delicatamente a sé Malina e la baciò.
«È ora di andare a casa» disse.
Lei fece di sì con il capo.
I due ragazzi si alzarono e presero il viottolo nel buio.