Storie della Fondazione per la Normalizzazione della Terra
I
“Direttive logistiche”. Era questo il pensiero che lo tormentava.
In effetti una buona strutturazione logistica è tutto nella gestione di un’organizzazione.
Mr. Habelhas chiuse il fascicolo. Fuori dal finestrino si delineava sul terreno, in rapido avvicinamento, un buco enorme. ‘Sarà largo un chilometro’ pensò. Un incredibile maledetto cratere che aveva vomitato fino all’inizio del secolo qualche tonnellata di diamanti. Poi la miniera era stata chiusa. Cinquecento metri sprofondava quel cono rovesciato nella pianura. Tutt’intorno montagne di terra, pietre, scarti di lavorazione. Dall’alto si vedeva ancora la strada che, come una chiocciola, portava i camion fino ai livelli più bassi e più stretti.
«Mr. Habelhas…» la voce elegante dell’hostess lo strappò dalla contemplazione di quel mausoleo alla fatica.
Habelhas annuì e si allacciò la cintura di sicurezza.
Il piccolo jet privato si abbassò di colpo, sballottato da violenti colpi di vento, e lo stomaco del passeggero salì su su fino alla gola.
«Accidenti al pilota» mormorò Habelhas inghiottendo acido. Poi con un tonfo il carrello toccò terra. Habelhas si rilasciò mentre l’aereo finiva la sua corsa verso la parte privata del minuscolo aeroporto.
Quando fu davanti alla cabina di pilotaggio, spalancò violentemente la porta: «Non sei più in guerra, Hayes» strillò.
Il pilota si voltò indietro stizzito: «Siete arrivato sano e salvo no? Per quel che mi compete, il miracolo l’ho fatto» e si voltò ignorando completamente Habelhas.
Questo era il rovescio della medaglia: Hayes era probabilmente il miglior pilota sul mercato, nonostante il pessimo carattere.
«Ripartiamo in serata» ringhiò Habelhas mentre gli veniva fatta indossare una pelliccia.
Quando il portello si aprì, una raffica di vento gelido lo investì furiosa.
Scese la scaletta aggrappandosi al mancorrente per non essere trascinato via e convenne che Hayes aveva ragione: in quelle condizioni, un atterraggio era realmente un evento miracoloso. Un pesante veicolo, dalle sembianze di un autoblindo gli venne incontro.
Il segretario, Oeyeff, intanto gli si era accodato, portando una borsa voluminosa. I due salirono a bordo del veicolo, guidato da un individuo nerboruto, dall’aria ottusa.
«Sapete dove…?» chiese Habelhas.
«È ovvio che lo so» grugnì l’altro, e un silenzio glaciale cadde nell’abitacolo.
Quando arrivarono sotto la pensilina del capannone abbandonato, Un uomo in uniforme venne ad aprire la porta ai due passeggeri.
«Mr Habelhas» disse questi accennando un saluto militare.
Habelhas si infilò rapidamente nell’enorme portone sul quale era ritagliata un’apertura chiusa da un uscio in ferro che aveva tutta l’aria di non essere più stato aperto da parecchi anni.
L’uomo e il suo segretario attraversarono un enorme ambiente dismesso, pieno di vecchi macchinari di miniera. Ruote arrugginite che avevano sostenuto nastri per tagliare rocce, vecchi motori in disuso e cumuli di parti meccaniche.
Si avvicinarono a una scaletta e scesero una decina di gradini.
Habelhas si piazzò davanti a un foro vicino a un portone. Un raggio verde gli colpì la faccia e subito il battente si schiuse con un clangore sinistro.
Quando il varco si richiuse alle loro spalle, Habelhas e Oeyeff vennero investiti da un gradevole tepore. Un lungo corridoio, lussuosamente arredato recava a una sontuosa sala riunioni. La boiserie era calda e le luci attenuate.
Una decina di individui attendeva al tavolo. Quando Habelhas entrò scattarono tutti in piedi.
Questi si diresse sicuro verso la poltrona presidenziale, si tolse la pelliccia, si fece dare la borsa dal segretario, estrasse due voluminosi dossier e li sbatté sul tavolo. Poi squadrò tutti i convenuti e disse: «Siamo al punto estremo prima del non ritorno. È ora di prendere delle decisioni»
Un uomo grasso, aggrappandosi ai braccioli della poltrona sorrise ironico e disse: «Sbaglio Mister Habelhas, o le decisioni sono già state prese?»
Habelhas lo fissò intensamente: «Il principio generale della normalizzazione del nostro pianeta, viste le condizioni, storiche, sociali e politiche è già stato stabilito. Lo può ricordare, onorevole Guyass, ha partecipato anche lei all’incontro di Janeiro»
Tutti tacquero: non era sfuggito loro un certo risentimento che traspariva dal tono di voce del Presidente.
«Tuttavia questo è l’incontro veramente importante perché qui decideremo COME agire» si guardò intorno «E non sarà facile indirizzare la nostra scelta»
Il silenzio si fece pesante nella sala.
Habelhas si guardò intorno valutando l’effetto delle sue parole. Poi sospirò: «Va da sé che non c’è una soluzione univoca. In questa sede valuteremo ogni proposta e ci pronunceremo al termine di tutte le considerazioni. Tuttavia deve essere chiaro che usciremo di qui solo quando avremo chiare in testa le linee da seguire. Caldeggio un atteggiamento pragmatico: tutto sta andando a rotoli e non c’è più tempo per le disquisizioni filosofiche. Spero lo comprendiate» si interruppe aprendo il primo dossier poi alzò quegli occhi a fessura, terribili nella loro determinazione: «Naturalmente se qualcuno di voi non desidera condividere ciò che dovremo dirci o è assalito ORA da qualche scrupolo etico può sempre decidere di allontanarsi. Sarà presa qualche precauzione per garantire la segretezza ma non si starà molto male…. DOPO» concluse sinistramente.
Nessuno fiatò.
Habelhas attese qualche istante poi sorrise compiaciuto: «Bene, possiamo cominciare»
II
Habelhas guardò il proprio volto nello specchio. Anche se non era ancora vecchio e, paradossalmente, non poteva più esserlo dopo il trattamento, pure, avvertiva dietro di esso una certa pesantezza evidenziata da alcune stirature della pelle intorno agli occhi che stonavano sull’immagine giovane e fresca restituitagli dalla superficie lucida. Aveva fatto la trasmutazione dieci anni prima e il fissaggio appena da due anni: secondo quanto gli avevano detto i medici poteva durare in quello stato almeno per duecento anni se non fosse successo nulla di particolare e questo lasso di tempo gli permetteva una visione distaccata e al di sopra delle parti che un uomo qualunque non poteva avere nelle condizioni di dover vivere appena settanta, ottanta anni per lo più. Sì, il punto di vista era molto differente e tante piaggerie etiche mostravano la loro debolezza se non la loro inutilità.
Si ravviò i capelli e strinse il nodo della cravatta. La storia che stava scrivendo, nella sua posizione, non era di quella che sarebbe finita sui libri, ma avrebbe inciso per un bel po’ sui destini dell’umanità; perché di quello si decideva in quell’assise: i destini dell’umanità.
Sospirò dandosi un ultimo sguardo poi uscì dal bagno spegnendo la luce. Raggiunse la sala riunioni dove gli altri, con il volto affaticato boccheggiavano in mezzo alle scartoffie, alle prese con discussioni vivaci a gruppi di due. Quando entrò, il rumore delle loro conversazioni si ridusse a un mormorìo. Habelhas guardò l’orologio da polso, meccanico – un residuato del XXI secolo perfettamente funzionante – e poi annunciò: «Ricominciamo tra un quarto d’ora», quindi si sedette e sprofondò nella lettura di alcune carte che estrasse dal secondo dossier.
Oeyeff si avvicinò e gli porse due fogli: «Dovrebbe firmare queste, presidente»
Habelhas le lesse rapidamente, le firmò e le restituì al segretario: «A che punto siamo?» gli sussurrò.
Oeyeff si strinse nelle spalle: «Non saprei» disse. Habelhas guardò gli scienziati e i politici che discutevano animatamente al tavolo: «Ne caveremo qualcosa di utile?» chiese, quasi parlando a se stesso.
«Vi sono buone probabilità…» rispose Oeyeff.
«E il suo parere qual è?»
Il segretario lo guardò perplesso: «Il mio parere? Non credo che conti…» disse dopo qualche esitazione.
«Non glielo chiedo per vezzo. Desidero saperlo» replicò asciutto Habelhas.
Oeyeff si schiarì la voce e iniziò esitando: «Io… ehm… lei lo sa, non sono propriamente un interventista… cioè lavorerei su un altro piano» disse infine.
Habelhas sospirò: «Potrei essere d’accordo con lei, ma la situazione precipita. E il problema è uno soltanto»
«Il numero?» disse Oeyeff con veemenza «Secondo me questa è una visione fuorviante. Parlo di ciò che penso: qualche volta occorrerebbe non avere solo dei dati su cui basarsi… come dire… avere una visione più ampia… prospettica»
Habelhas lo guardò sorridendo: «Ma guarda. Il mio segretario personale suggerisce che la Fondazione non abbia una visione… prospettica?»
«Non mi permetterei mai di dire questo, ma ho la sensazione a volte che le variabili in gioco siano ben più che una questione di numeri. In prospettiva il pianeta potrebbe anche riuscire a mantenere qualche miliardo o più di individui se si adottassero politiche… corrette»
«Quindi lei è un idealista. L’educazione dei popoli e le scelte giuste della politica. Pensavano così anche i nostri padri del ventesimo e ventunesimo secolo. E guardi dove siamo arrivati…» disse amaro il presidente.
«Ne convengo… non è stato un esempio virtuoso… ma oggi lei… la Fondazione… avete mezzi di persuasione neanche immaginabili due secoli fa. Io credo che…» Habelhas interruppe Oeyeff: «È bello da parte sua non aver perso la fiducia sulla possibilità di recupero dell’umanità ma….»
«…una visione più pragmatica focalizza meglio problemi e soluzioni. Certo, conosco bene la formula» rispose Oeyeff sconsolato.
«Noi saremmo pronti» disse un uomo spettinato e con la barba lunga che si era nel frattempo avvicinato ai due.
«Bene» disse Habelhas. Oeyeff si ritirò e si sedette a lato della poltrona del presidente, appena un poco indietro.
III
«Così non si arriva da nessuna parte. Non sono venuto qui e non vi ho scomodato dai vostri laboratori o dai vostri uffici per sentirmi proporre continuamente soluzioni confutate da analisi inconciliabili con lo spirito, i fini e i mezzi della Fondazione.
«La questione è molto complessa» obiettò Guyass. Il grasso politico era abituato a trattare questioni spinose e a trovare soluzioni geniali, così come aveva fatto per i protocolli di Jacuz, quando tutto era sembrato andare a monte e lui, con un colpo di reni, non solo aveva riportato la trattativa nel solco di una plausibile risoluzione ma era persino riuscito a far firmare l’accordo a tutti i partecipanti, anche a quelli più riluttanti. Il risultato era che quei protocolli per qualche anno erano riusciti almeno a mitigare accettabilmente gli effetti derivati dal riscaldamento globale.
Ma lì, a Mirjin, se ne stava per lo più zitto, come un attento ascoltatore piuttosto che come un professionista della politica impegnato a cercare e trovare una via d’uscita.
«Avete qualche dubbio sulle possibilità della Fondazione?» chiese ironico Habelhas. Guyass sorrise: «No. È che tutto questo mi sembra paradossale. Noi ce ne stiamo qui chiusi in questa specie di bunker a disquisire quanti individui è necessario far fuori per riportare emissioni e consumi a un livello accettabile. Perdonate la brutalità ma questa, mi pare che vada delineandosi come l’unica soluzione plausibile, stante il fatto che altre vie per tempo e impegno materiale da profondere, non siano praticabili. Ora, io – che sono molto pragmatico – a freddo penso che quelli che scatenarono l’ultima grande guerra della modernità, cinquanta milioni di morti, ve lo ricordo, si sono guadagnati la fama di mostri perché decisero, in una riunione simile a questa, che quattordici milioni di persone si sarebbero dovute eliminare»
Un brusio indignato si levò attorno al tavolo. Habelhas zittì l’asselmblea: «Continui, prego»
«Oggi noi decidiamo – teoricamente, s’intende, per il momento – la sorte di circa nove miliardi di individui. Mi chiedevo come saremo giudicati, se questa… cosa si risapesse in un futuro più o meno lontano»
«E perché dovrebbe risapersi?» chiese beffardo Habelhas.
Gli scienziati e i politici si guardarono spaventati.
Habelhas alzò la mano per tranquillizzare l’assemblea: «Noi non siamo compresi nel numero» disse amabile «Il vostro silenzio è una questione di correità. E il numero è troppo al di sopra dell’etica per permettere qualche crepa… io sono assolutamente sicuro che nessuno dirà nulla»
Lasciò passare qualche istante perché le sue parole si imprimessero bene nella mente dei presenti.
Guyass si schiarì la voce: «Dunque?» chiese.
Habelhas lo guardò infastidito: detestava che gli si mettesse fretta.
«Il passo successivo è la risposta a quattro domande: Quanti? Chi? Dove? Come?» concluse Habelhas, gelido. «Professor Chrozow?» il suo sguardo si rivolse a un ometto dai capelli bianchi e dalla pelle diafana, quasi trasparente.
«Penso che la cifra giusta si avvicini alquanto a quella che ha detto l’onorevole Guyass… nove miliardi riporterebbero l’umanità al livello della metà del ventunesimo secolo… una soglia plausibile, che darebbe un po’ di respiro… nel frattempo si potrebbero attuare politiche serie di controllo delle nascite. Inconsapevoli, ovviamente…. Ad esempio sterilità programmate… cose di questo genere. Il punto è di non superare il limite degli otto miliardi» il demologo si guardò intorno: sfoggiava un atteggiamento scientifico, ma un lieve tremito delle sopracciglia rivelava il suo nervosismo.
«Anche per il ‘chi’ immagino che lei abbia un’idea…» disse Habelhas dopo aver scritto la cifra su un taccuino.
Chrozow si strinse nelle spalle: «È dura da esplicitare soprattutto guardando a questa assemblea, ma penso che la soluzione migliore sia quella di terminare tutti quelli che hanno più di sessant’anni. Sono nove miliardi quasi esatti… hanno già vissuto la loro vita, si avviano a una parte d’esistenza che diventa potenzialmente un peso in termini sociali…»
Un viva protesta accolse queste parole.
Habelhas sorrise: se la decisione fosse stata presa in tal senso non uno di loro sarebbe stato risparmiato, eccetto Oeyeff. In seguito batté una manata sul tavolo e tutti tacquero.
«Professor Coronado?» si rivolse poi a un individuo tarchiato, con una vistosa zazzera bianca spettinata.
«Il dove? Domanda inutile: gli ultrasessantenni in cima alla piramide demologica sono dappertutto. La risposta dunque è: dappertutto» borbottò quello scontroso.
«Devo dire che vanno considerati anche i rischi dell’eliminazione di un’intera classe di età…» aggiunse Chrozow.
Habelhas alzò le spalle: «Mi sembrano rischi accettabili, vista la gravità della situazione. Il male minore: non possiamo toccare la popolazione in grado di lavorare, mantenersi e produrre, non possiamo fare a meno dei giovani se vogliamo avere qualche prospettiva… il punto è come? Escluderei una guerra. L’onorevole Guyass ci ha appena ricordato eventi spiacevoli che non vanno ripetuti»
«L’ideale sarebbe un’epidemia. Una cosa che non implichi responsabilità visibili. Nessuno ne può nulla se uno si ammalla e ci lascia le penne» disse Guyass.
Habelhas si voltò verso un incartapecorito scienziato: «Professor Van Gleb?»
L’illustre epidemiologo si raschiò la voce: «Ci vorrebbe un virus selettivo. Basato magari sull’orologio biologico degli individui. Oltrepassato un certo assetto cellulare potrebbe colpire. Non è impossibile farlo ma non facile e soprattutto costoso»
«Questo è dunque il compito che lei dovrà svolgere. Di quanto tempo ha bisogno?» chiese Habelhas.
«Un anno o due… e una montagna di denaro»
«Il denaro non è un problema» disse Habelhas, compiacente, rivolto a tutti.
Oeyeff lanciò uno sguardo supplichevole ad Habelhas che lo ignorò completamente.
«Dunque direi che è deciso: Nel giro di un paio di anni ci impegnamo a costruire un virus selettivo che, seguendo l’orologio biologico umano individui e colpisca tutti coloro che hanno superato la soglia dei sessanta. Vorrei una morte dolce, non troppo dolorosa» disse rivolgendosi a Van Gleb « e rapida. Evitiamo di far soffrire la gente»
«Da questo punto di vista possiamo fare tutto quello che vogliamo. Ci mettiamo al lavoro»
Habelhas piegò il foglio su cui aveva scribacchiato qualcosa. Era visibilmente sollevato e quasi allegro: «Possiamo sciogliere questa riunione. Abbiamo lavorato bene, preso decisioni importanti»
Si alzò dal tavolo, chiuse i dossier, li ripose nella cartella che Oeyeff gli aveva porto.
«Professor Van Gleb, lei viene con me. Chiariremo alcuni dettagli operativi riguardo ai finanziamenti durante il viaggio. A tutti voi auguro un buon ritorno. Ci rivedremo alla prossima convocazione non appena avremo qualche novità da parte del professore. Inutile ricordarvi l’assoluto riserbo su questo nostro meeting» disse, indossando la pelliccia.
Van Gleb, preso alla sprovvista non osò dire nulla e uscì insieme ad Habelhas e Oeyeff.
Nel capannone, l’autista nerboruto aspettava soffiando sbuffi di vapore ad ogni respiro.
«Salga professore» disse Habelhas cedendo il passo a Van Gleb.
Poi, voltandosi verso Oeyeff disse piano: «Faccia saltare tutto. E tutti. Sarà un terribile incidente. Poi facciamo in modo che la scomparsa di tutti questi palloni gonfiati passi inosservata. Sa come agire» qundi salendo il gradino per entrare nell’autoblindo, disse in tono affabile a Van Gleb: «Sono da lei professore. Abbiamo qualche ora per chiarire tutto quel che dobbiamo chiarire su questo nostro progetto» e mentre Oeyeff impartiva ordini al cellulare, il pesante veicolo si avviò verso l’uscita di quell’area industriale dismessa.