(da “I dieci racconti dell’Aria”)
Apri le mani… chiudi le mani. Apri le mani… chiudi le mani. Andari vieni. Andari vieni. Come i balzi di una musica. Un quartetto. Forse un quartetto di Chaikowskij… come si scrive non l’ho mai capito. Anche questa è una voce, una di quelle che pulsano nella testa e non se ne vanno. Non se ne vanno proprio. Eppure bisogna liberarsene. Forse pensare al corpo, che so alla pancia oppure al cuore che pulsa o al respiro. Come una preghiera orientale. E come quel giardino dove l’hai incontrata.. Un giardino dentro il giardino dentro un altro giardino. Mi sono spezzato un’unghia. Così ha fatto… tac! E lei si è rotta. Perché le mie unghie si orlano di nero? Perché hanno odore di rancido se le annuso sull’orlo? In fondo non sono poi tanto lunghe. E questa è un’ossessione. Quale ossessione? Il suo corpo. Il suo, proprio quello.
Dunque riandiamo con calma all’inizio. Apri le mani… chiudi le mani. Apri le mani… chiudi le mani. Adesso i suoni mi arrivano velati ma in questo cervello che non funziona rimane fissa l’immagine sua nel giardino. Proprio al centro, vicino alla fontana. Come se fosse un dipinto passato. Per fortuna posso volare e quando le vado vicino la vedo da alcuni punti di vista differenti, forse cinque o sei. Fa uno strano effetto, come se fosse uno schermo che svolge cinque o sei storie ma tutti sanno che invece la storia è una sola. La solita. Eppure lei è bellissima e come al solito sorride. Mi sembra che raccolga anche fiori. Come al solito appunto. È capitato in tutte le visioni che ho avuto nella mia vita (e non erano poche se conto i sogni), anche se sorrideva, mi pareva un po’ stanca. Come se venire nella mia testa la disturbasse un po’. Capisco che non dev’essere facile per una pura essenza ridiventare carne o anche solo pensiero di carne. Ma chi mi dice poi che lei sia proprio pura essenza? Così dev’essere e non c’è nient’altro da fare.
Probabilmente conviene smetterla. Se si potesse. Ma tanto so già che non si può e allora tanto vale affrontare la questione. Che è questa: tutte le volte che l’ho guardata più intensamente o che mi sono avvicinato o che ho tentato di parlarle lei non è che sparisse ma in effetti si spostava, oppure guardava da un’altra parte. Adesso però siamo al dunque. I libri che mi hanno dato da leggere quando mi sono ammalato dicevano che a un certo punto il corpo non percepisce più se stesso quando il metabolismo cerebrale comincia a diventare instabile. Instabile. Diciamo pure che si è staroccato del tutto. Non riesco ancora ad andarmene in giro come voglio ma mi vedo io in questo letto a grippare con il respiro affannoso e a cercarla. Lei dico, la figura della fontana. Tanto più di così non si può più fare. Mi sono persino confessato…. Non si sa mai. Ecco adesso mi avvicino.
Finalmente si volta e mi guarda con un’espressione un po’ stupita come se mi vedesse per la prima volta. La vedo da vicino: il giudizio è contrastante è indubbiamente bella ma ha qualcosa di strano, un’ombra di tristezza o di indifferenza…
Mi viene incontro. Allora ci siamo. E’ la volta buona. Chissà se le mani si aprono e si chiudono ancora. Mi lancia un piccolo sussurro. Non capisco che cosa mi ha detto. Ma forse non mi importa proprio di saperlo. Che strano! Adesso che posso parlarle non ho niente da dirle. Ma proprio niente niente. Niente e ancora niente. E dire che avevo tante cose da chiederle. Vuoto mentale. Che sia questo l’inizio di una vita infinita fatta solo di silenzio. La guardo allontanarsi, mi guardo allontanarmi e buona notte. Rimane solo quel sussurro. Tutto come un sussurro di vento. Di vento leggero.