«Non me la sento» disse Friserio battendo un pugno sul tavolo. I boccali di birra sussultarono , tracimando una schiuma rossastra.
«Calma» fece Arienti asciugando con un tovagliolo la colata del suo boccale.
Il Maestro Santrini alzò gli occhi al cielo: «Vorrei capire perché… che cosa è cambiato rispetto allo scorso anno? La mia orchestra è più popolare che mai… ovunque andiamo facciamo il pieno»
Arienti annuì: «Ha ragione. La vostra ritrosia a organizzare questa tournée è illogica. Il maestro è più che una garanzia. Basta il nome…»
Friserio scosse il capo: «Ma dove vivete? Non vedete che cosa sta succedendo in giro?»
Santrini guardò Arienti sperando che replicasse qualcosa. L’agente alzò brevemente le spalle.
«Non voglio impegnare il mio denaro in qualcosa che potrebbe essere vanificato da un momento all’altro… Chi ci garantisce che le frontiere a Natale saranno ancora aperte?»
Arienti diede in una grande risata: «Vi riferite ai cosiddetti ‘venti di guerra’? Tutte balle. In questo momento ognuno gioca a fare la voce grossa, ma la gente si ricorda bene la guerra. Non è uscita dalle teste di tutti» fece avvicinandosi al viso dell’impresario.
Friserio lo guardò come se fosse un ebete: «Non vi state rendendo conto della situazione» disse infine.
Santrini intervenne: «Una volta che Hitler abbia avuto quello che è suo, si metterà tranquillo, è chiaro. E quelli lo sanno, infatti nonostante quel che è già successo, mica è scoppiata nessuna guerra, no? E allora perché non possiamo fare la tournée?»
«A breve la guerra scoppierà davvero. Ho amicizie… me l’hanno confermato. E sarà terribile… Voi artisti andrete tutti al fronte. E a me chi ridarà i soldi che avrò speso per organizzare questa faccenda?»
«Io non la metterei così tragica. Ho naso per queste cose e vi dico che non succederà proprio niente» Arienti affermò sicuro.
«E poi mettiamo anche che scoppi la guerra… la gente avrà bisogno di non pensarci e che cosa c’è di meglio della musica? Ricordo bene che cosa è successo venticinque anni fa… ero un ragazzo. Nessuno voleva pensarci, cercavamo continue distrazioni… tutto quello che ci portava fuori da quell’incubo era il benvenuto…» Santrini vuotò il suo boccale.
Friserio stava zitto ma scuoteva il capo. Quei due mostravano di non capire nulla o forse capivano troppo e si ostinavano a perseguire con cecità i loro interessi senza neppure prendere in considerazione il fatto che a guerra scoppiata della loro musica non sarebbe più fregato niente a nessuno.
«Mi dispiace. Ripeto che non mi sembra il momento adatto. Perciò vi propongo di rimandare il tutto in primavera. Se l’anno prossimo, diciamo a Febbraio non sarà ancora successo nulla, allora vorrà dire che avevate ragione voi. A quel punto sono prontissimo a partire con l’organizzazione. E vi verserò anche una penale per avervi fatto aspettare così tanto»
Così detto prese il cappello e se ne andò senza permettere ai due di replicare.
«E adesso che facciamo?» chiese Santrini allentandosi il papillon.
Arienti allargò le braccia: «Nulla. A meno che non decidiate di cambiare impresario» disse.
«Ho sempre e solo lavorato con lui, e mi sono sempre trovato benissimo. È un uomo onesto anche se è gretto e pavido come un ebreo. Tuttavia…» Santrini cominciò a passeggiare nervosamente nel locale vuoto.
«Friserio potrebbe anche avere ragione. Guardate bene questo locale» disse Arienti.
«È praticamente vuoto» rispose Santrini.
«Appunto. È vuoto. Qualche mese fa c’era una folla che non si riusciva a entrare» sbottò Arienti.
«E allora? Che cosa volete dire?» chiese Santrini.
«Che sta finendo un’epoca, maestro» replicò Arienti.
Santrini ebbe un gesto d’insofferenza: «Fate le vostre prediche a qualcun altro. Se una cosa posso dire è che pur avendo visto molti cambiamenti, nella sostanza la gente è sempre uguale e ha sempre voglia di dimenticare le cose brutte. E noi serviamo a questo» disse.
«Questo è vero» rispose Arienti dopo qualche istante di assorto silenzio «Ma vi devo confessare che anch’io sono giunto a pensarla un po’ come la pensa l’amico Friserio»
«Irritante» smozzicò tra i denti Santrini «Quindi anche voi mi abbandonate…»
«No, no… non intendo sparire…» disse conciliante l’agente «è che dovete considerare la possibilità che d’ora in avanti le cose possano diventare difficili…»
Santrini si strinse nelle spalle: «Non sono uno stupido. Ma io continuo a sostenere che questo è il momento di osare…»
«Forse avete ragione. Ma non troverete molti a pensarla come voi…»
Il maestro sbuffò: «Che cosa mi consigliate di fare?» chiese dopo aver riflettuto un poco.
Arienti lo guardò sconsolato: «Bisogna trovare una strategia… dopotutto abbiamo necessità di lavorare. Forse, passato questo momento, le cose torneranno a posto come è sempre successo…»
«Vorrei poterci credere. Potremmo forse provare con qualcun altro. A questo punto che cosa ho da perderci? Io devo pur campare… e se Friserio non vuole più sostenermi dovrà fare a meno di me»
«Maestro, il pubblico vi reclama» disse un omino con la riga in mezzo e un paio di occhiali rotondi.
«Arrivo subito» disse con un cenno di fastidio Santrini, poi si avvicinò ad Arienti: «Davvero credete che ci sarà la guerra?» chiese con un sussurro.
Arienti allargò le braccia sconsolato: «Dio solo lo sa. Il rischio però è reale»
«Forse mi conviene andarmene, fin che sono in tempo» disse quasi a se stesso Santrini.
L’agente teatrale lo guardò contratto: «È quello che penso anch’io» disse piano.
«Potremmo andare in America. Con tutta l’orchestra. Un giro trionfale negli Stati Uniti. Poi rimaniamo là… il lavoro non mancherà»
«C’è la possibilità che anche gli Stati Uniti intervengano…» disse Arienti.
«Suvvia… non vorrete far diventare la guerra di questi pazzi, una guerra… mondiale?» celiò Santrini.
Arienti si strinse nelle spalle: «Se scoppiasse una guerra e intervenissero anche gli Stati Uniti noi saremmo dalla parte sbagliata. E se ci trovassimo laggiù…»
Santrini fece un gesto seccato: «Mi sembrate decisamente pessimista… quello che dite è un caso estremo… Non saremo così stupidi da metterci contro il mondo intero»
Arienti sollevò il bicchiere e lo guardò, vuoto, in controluce, poi mormorò: «E che cosa abbiamo fatto finora?»
Si affacciò nuovamente l’omino con gli occhiali: «Maestro!» disse ansioso.
«Vengo, vengo» sbottò Santrini. Fece per andare poi si voltò verso Arienti: «Vorrei terminare il discorso con voi dopo lo spettacolo»
«Sono a vostra disposizione. E mi fermerò a sentirvi. Ho bisogno di distrarmi un poco» Posò il bicchiere sul tavolo, si alzò e si apprestò a entrare in sala.
Arienti sbadigliò sommessamente. In altri tempi il teatro era pieno di signore eleganti e signori con smoking e papillon. Un acuto senso di nostalgia lo pervase. Le note dell’orchestra di Santrini avvolgevano i pochi che quella sera avevano deciso di uscire dalle case vincendo lo sgomento e la paura per ciò che stava capitando. Si avvertiva nell’aria un senso di fatalità che segnava la fine di un mondo, di un’epoca. E Santrini, ottuso, sciocco, si aggrappava a quel mondo, fingendo di ignorarne lo stato malato, terminale. Odore di morte, quello che spinge a scapparsene ben lontani. Arienti scosse il capo e ordinò uno scotch con ghiaccio.
Quando le note dell’ultimo pezzo svanirono nell’aria e il pubblico ebbe adempiuto al cerimoniale di un applauso sinceramente cortese, quantunque scarno – vi erano parecchi posti liberi in platea – la sala iniziò a vuotarsi.
Santrini apparve dal boccascena e fece cenno ad Arienti di salire. Questi si infilò in una porticina laterale e raggiunse il maestro nel retropalco.
«Come siamo andati?» chiese ansioso Santrini.
Arienti si accese una sigaretta: «Splendidamente come al solito» disse neutro.
Santrini lo scutò per bene in fondo agli occhi: «Non mentite. Non c’era energia» disse, amaro.
«Sono i tempi. L’atmosfera che si respira» replicò Arienti quasi scusandosi.
«Insomma che cosa dovremmo fare, secondo voi?» chiese il maestro accosciandosi su una sedia e poi aggiunse angosciato: «È il principio della fine?»
«Maestro» disse Arienti intenerito «Cerchiamo di essere ottimisti. Tuttavia penso che potremmo prenderci, come dire, una pausa dall’Italia»
«Spiegatevi»
«L’America del Sud potrebbe essere un posto interessante dove fare una turneé» fece l’agente.
«America del Sud? Ma la nostra musica….» obiettò Santrini.
«No, no. Ascoltate. Ci sono molti europei laggiù. Molti di quelli che non comprendono la necessità di una guerra e non hanno troppa voglia di esservici coinvolti. Molte famiglie che hanno messo o stanno mettendo in salvo i loro figli…. I loro capitali… Insomma i ricchi, quelli che si possono permettere di spendere per andare a teatro, a danzare, ad ascoltare buona musica»
«Dite?» fece Santrini «Ma la noi saremo adeguati? Mi risulta che laggiù si suoni in modo sfrenato… attirerà qualcuno il nostro swing?»
«Il vostro swing? Scherzate? Sarà come una calamita per quel pubblico. Da una parte il jet set europeo, già abituato ed esigente, dall’altra il popolo incolto che non avrà mai sentito una musica come quella che suonate voi. Rischiamo di avere un successo travolgente» mentì Arienti.
Santrini sorrise, eccitato: «Avete avuto una buona idea. E chi finanzierà la nostra… spedizione?»
«Datemi tempo una settimana. Troverò chi abbia voglia di investire qualche lira in questa impresa» fece, sicuro, l’agente.
Santrini, visibilmente sollevato: «Vada per l’America del Sud. Dovremo imparare qualcuna delle loro musiche… sarà un’esperienza eccitante» disse e si levò in piedi: «Procedete pure. Prima si parte meglio è» quindi gli batté una pacca sulla schiena, e se ne andò in camerino.
Arienti sospirò, scosse il capo, guardò tristemente il teatro ormai deserto e uscì nella nebbia.
Quattro giorni dopo Hitler invadeva la Polonia.