Che resta ancora, pallido vaso,
scalvato dei manici inatti
a regger bollori?
La nostra parola insonora
e sola veduta vorremmo che
morto fosse e invece malato
suscita i re e i lauri per vie
di seconda, distrutta dall’uso
fors’anche unicorde
dei galli cantori, rigurgito della notte,
scombuiati al gettare dei ponti
di cui alle rosee falangi.
Ma è davvero un’alba?
Voce chioccia, covi tue sfere
inarticole, vedi i tuoi voli
lubegini e non sai neppure
figurare il paglietto alla nave.
Così l’onda sobbalza
e la lingua acerba
immagina oscuro per dire
primizie.
Ti leggano o volpe o leone.
Certo al teatro d’uopo
è ridere al disbrigo
tentare del comico.
(1988)